La
domanda sorge spontanea fin dai primi ascolti di The Classic: ma come fa questa ragazza a non
sbagliare mai un disco? Joan Wasser, al secolo meglio conosciuta come Joan As
Police Woman, è dal 2006, infatti, e cioè dai tempi del suo esordio, The Real
Life, che mantiene un livello compositivo di altissima qualità. Cinque album, al netto di
un Ep risalente al 2004, in cui la Wasser ha tratteggiato, sebbene in modi diversi,
un percorso musicale che l’ha condotta dai lontani inizi punk a un songwriting
che rielabora il rock, ormai ridotto a poche scorie, in una moderna e affascinante
black music. Non è stato semplice il cammino di Joan: la morte del fidanzato
Jeff Buckley, quella dell’amata madre e infine una pesante depressione, che l’aveva
trascinata alle soglie del baratro, avevano punteggiato le sue canzoni di cupe
visioni e grumi di sofferenza. Oggi, la quarantatreenne cantautrice del Maine,
torna invece sulle scene con il suo disco più solare, che a tratti si fa addirittura
istintuale e divertito, come avviene nell’irriverente funky della spensierata e
travolgente Shame. C’è voglia di leggerezza in questo disco, e lo si sente fin
dall’apertura di Witness, in cui la Wasser pesca dal cilindro, rielaborandola
con gusto personale, una rumba che vira nel soul, a dir poco mozzafiato, del
ritornello. E si sente anche nella successiva Holy City, rielaborazione in note
di un viaggio in Israele, la cui anima gospel si cela in un corroborante groove
che sfocia in un finale funky, ascoltando il quale si fa fatica a tenere a freno la voglia
di ballare. Eppure, nonostante gli accenti brillanti e il mood che a tratti si
fa addirittura giocoso (il reggae di Ask me), The Classic è un disco ragionato e maturo, che non nasconde le
fonti di ispirazione (Stevie Wonder, Erikah Badu, Chic e, come non pensare
a Amy Winehouse per il classic soul della title track) rielaborandole però con
un gusto tanto moderno da apparire futuribile. Certo, a voler trovare un
difetto al disco, si può affermare che il corpo centrale dell’opera, ove il
ritmo si rallenta e compaiono all’orizzonte nuvole cariche di pioggia e di
presagi, il linguaggio diviene un poco verboso a scapito dell’immediatezza
espressiva. Ma è solo una sensazione che dura il momento di un attimo e che
svanisce quando il lettore passa l’intensa, carnale e tormentata Stay, uno dei
vertici compositivi della carriera della Wasser. Allora, tutto è chiaro: The
Classic è il disco della definitiva consacrazione di una delle artiste più
interessanti dell’ultimo decennio, una musicista che riesce a rinnovarsi e a
migliorarsi di anno in anno senza mai tradire se stessa e i moti della propria
anima. Che possono avere gli spigoli affilati del dolore o, come in questo
caso, l’esuberante loquacità di chi è felice di essere in vita. Da ascoltare e
riascoltare come perfetta colonna sonora di questo anticipo di primavera.
VOTO:
8
Blackswan, domenica 16/03/2014
4 commenti:
Non ho avuto le stesso fantastico impatto di "The deep field" però è un'artista di classe che non si discute.
@ Lucien: The Deep Field era un album stratosferico, eppure The Classic riesce comunque a convincere, anche se in modo diverso.io lo trovo meno introverso,più semplice,più solare.
è vero, joan non sbaglia un disco.
però allo stesso tempo non è ancora riuscita a fare un capolavoro indimenticabile...
comunque, fino a che continua a fare dischi "solo" buoni, va bene così! :)
se passi da me in serata c'è un premio per te...
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