L’8 febbraio del 2013, a
Los Angeles, Bruce Springsteen è stato insignito del prestigioso premio “Person
Of The Year”(già consegnato in passato a personaggi del calibro di Sting, Bono,
David Crosby, etc.), assegnato dall’Academy (la stessa dei Grammy) e da MusiCares,
un’associazione che si occupa dell’assistenza a musicisti in difficoltà.
Presupposto per l’assegnazione del premio, non sono esclusivamente i meriti
artistici ma soprattutto quelli filantropici, l’aver cioè contribuito in modo
fattivo alla causa dei più deboli e degli emarginati (Springsteen supporta
parecchie Food Banks in giro per il mondo e finanzia molte associazioni che si
occupano dei reduci della guerra del Vietnam). Questo dvd, pubblicato il mese
scorso dalla Columbia, documenta quindi la serata di gala in cui l’onorificenza
è stata assegnata: ad alternarsi sul palco numerosi artisti che rileggono le
canzoni del boss (a presentare l’attore e comico Jon Steward), in platea, lo
stesso Springsteen (che chiuderà la serata con cinque brani) e famiglia (ci
sono mamma, moglie, figlia), oltre a parterre de roi di stelle più o meno note
anche da noi (il giochino per lo spettatore è riconoscerne il più possibile).
Un contesto quindi molto patinato che ha poco a che vedere con l’impatto
sanguigno ed energico dei live act springsteeniani. Eppure, forse proprio perché
il boss siede in platea ed assiste all’evento, si ha l’impressione che (quasi) tutti i musicisti
chiamati a misurarsi con un repertorio divenuto ormai leggendario, cerchino di
dare il meglio di sé per non sfigurare innanzi a uno dei padri del rock a
stelle e strisce. Tolto Elton John (davvero fuori contesto) che mortifica,
privandola di pathos, Street Of Philadelphia, e (stranamente) Neil Young, alle
prese con una Born In The Usa troppo sgangherata per essere vera, gli artisti
chiamati in causa se la cavano tutti egregiamente e qualcuno in modo eccelso.
Scontata e professionale Patti Smith con Because The Night, grintosi gli
Alabama Shakes con Adam Raised A Cain, inappuntabile Kenny Chesney (mr. Zellweger)
con One Step Up, inusuale Juanes con una spagnoleggiante Hungry Heart. Il
meglio però arriva da Jackson Browne, che insieme a Tom Morello, rilegge in
modo commosso American Skin, da Mavis Staples e Zac Brown che esaltano in
chiave gospel My City Of Ruins, dai Mumford And Sons che giganteggiano con una
versione blue grass di I’m On Fire e soprattutto da John Legend, la cui
versione per pianoforte e voce di Dancing In The Dark è destinata a rimanere
nella storia. Il finale (Thunder Road, Born To Run e Glory Days) con
Springsteen e parte della E Street band è semplicemente da manuale. Un manuale
di grandissima musica. Imperdibile per tutti i fans del boss.
VOTO: 7
Blackswan, domenica 06/04/2014
6 commenti:
bravo legend, ma la canzone a mio parere, resta tra le cose piu' brutte scritte da bruce.ciao nick
@ Bartolo: io sono springsteeniano per fede, un religioso,insomma. e quindi posso affermare che il boss non ha mai scritto una brutta canzone :))))
ok nick come non detto.
@ Bartolo: stavo solo scherzando :)
non ti volevo ferire troppo, dicendoti che di canzoni brutte bruce ne ha scritte anche troppe, ciao nick.un abbraccio
@ Bartolo: sono impermeabile. E' la fede. Un abbraccio a te :)
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