Qualcuno se li ricorda i Black Keys di Magic Potion,
quell'heavy blues per chitarra elettrica e tamburi, rumoroso e villano,
che puzzava lontano un miglio di America rurale, polvere e bourbon? Era solo il
2006 ma sembra siano passate un paio di ere geologiche. Eppure, senza
tornare così tanto indietro nel tempo, appaiono sfumati anche i contorni
dei due album successivi, Attack & Release (2008) e Brothers (2010), che
già segnavano un deciso cambio rotta verso l'alternative, nonostante la credibilità
di fondo si mantenesse intatta. Questo perchè il nome Black Keys appare
irrimediabilmente legato al loro ultimo album, El Camino, risalente a tre
anni fa. Un singolo bomba, Lonely Boy, un Grammy Award per miglior disco
dell'anno, un milione e mezzo di copie vendute. Un bel colpo davvero, se non
fosse che quel disco segnava il definitivo passaggio dei Black Keys dall'altra
parte della barricata, quella dove la musica si fa furbetta e strizza l'occhio
alle classifiche e al glamour. Niente di male, per carità: El Camino suona
tutt'oggi divertente e divertito, soprattutto grazie alla capacità di
Dan Auerbach di camminare in perfetto equilibrio tra ritmiche moderne e
ammiccamenti classici, così da compiacere tanto i modaioli quanto gli
appassionati di rock. Personalmente, attendevo Turn Blue con ansia: non tanto
perchè pensassi a un ritorno alle antiche origini (che ormai rappresentano la
storia di un altro gruppo), ma perchè mi aspettavo quantomeno il seguito
di El Camino, un disco che, pur essendo conscio dei limiti artistici, mi tenne
compagnia per parecchie settimane. Invece, il nuovo full lenght dei Black Keys,
perde definitivamente ogni residuo vitale, la cui presenza si percepisce
solo in sporadici lampi di classe, per far posto a un suono (complice la
produzione di Danger Mouse, che a far danni riesce sempre benissimo) che è
super stiloso e super plasticoso. Se si eccettua il brano iniziale, Weight Of
Love, ottima prog-song in odore seventies, il resto del disco fila via
liscio come un fuso in un mare di mediocritas, senza un palpito che
sia uno. Rock pettinato e patinato, basso che pompa, ammiccamenti soul-dance, e
un pugno di canzoni che, sommate nei loro momenti migliori, non riescono a
replicare la potenza di un singolo spacca classifica come Lonely Boy. Dovevamo
capirlo subito come stavano le cose una volta ascoltato Fever, singolo
piacione e senza palle, che già testimoniava un'ispirazione, se non
proprio esangue, virata definitivamente verso il (quasi) mainstream. Si fosse
trattato di un'altra band, avremmo anche chiuso un occhio; ma veder tanto
talento sprecato, fa venir la strozza in gola.
VOTO: 5
Blackswan, giovedì
6 commenti:
Ce l'ho ancora in ascolto nel blog, ma in realtà ho già smesso di ascoltarlo. Condivido in pieno il giudizio: mi ha stancato subito; "Brothers" era altra merce. D'altra parte sono andati da Fazio ... (una garanzia!).
Danger Mouse mi va bene per Broken Bells, pessimo con Auerbach e Carney.
@ Lucien: un disco che mi ha messo tristezza,artefatto e senz'anima.
Preferisco di gran lunga i primi, primissimi Black keys; ma per me loro possono fare ciò che vogliono e mai ne dirò male; anzi, a volte mi sembra che sia tutta "una montatura", così per vedere che effetto fa stare dall'altra parte...
Se poi hanno trovato la via della popolarità, meglio per loro, almeno avranno da fare campare bene la prole!))
Ho amato ed amo Brother ed anche El Camino...questa tua recensione mi intristisce molto
Uh non mi aspettavo una stroncatura d'altronde il loro primo singolo fever non è che mi avesse particolarmente emozionata XD
mai piaciuti più di tanto. questo disco devo ancora ascoltarlo bene, ma per ora mi sembra che manchino le canzoni. la produzione del mitico danger mouse mi pare invece la cosa più interessante!
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