Nella disputa fra Oasis e
Blur che infiammò l’Inghilterra nella prima metà degli anni ’90 mi sono sempre
schierato a favore dei primi. I Blur mi piacevano, certo, ma preferivo di gran
lunga l’approccio musicale degli Oasis, che ai miei occhi apparivano un filo
più rock e decisamente più bohemiens. In seguito, la storia diede ragione a
Damon Albarn e alla sua vitalità creativa: i fratelli Gallagher si persero in
un mare di mediocrità dopo un paio di album davvero notevoli, mentre i Blur, e
in seguito i Gorillaz (uno dei fenomeni mediatici più interessanti del nuovo
millennio), mantennero standard qualitativi costantemente alti. Everyday
Robots, che possiamo definire come il vero primo album solista di Albarn (Democrazy
era una raccolta di demo e Dr Dree una bizzarria assolutamente anomala rispetto
agli standard del cantautore inglese), è la sintesi di ventitre anni di
carriera e racchiude la summa delle esperienze di un musicista che ha raggiunto
ormai la piena maturità. Una maturità svelata dal linguaggio di chi finalmente
sa raccontarsi senza filtri, in modo colloquiale e comprensibile a tutti, e da
un suono (e accidenti che suono!) che sa essere minimale e al contempo pieno e
sostanzioso, e che si gioca le carte migliori nel cesello dei particolari,
senza tuttavia mai perdere di vista il quadro d’insieme. Un disco adulto e
misurato, in cui Albarn impasta il proprio vissuto artistico senza rinnegare
alcunché ma trovando invece una nuova consapevolezza. In questo senso, all’interno
della medesima scaletta, convivono elettronica e pop-rock, jazz e
campionamenti, folk e soul, gospel e world music, in una sinossi il cui
equilibrio è temperato dallo sguardo malinconico e disilluso della mezza età.
Non esiste più la rockstar dietro le canzoni di Everyday Robots, ma
semplicemente un uomo, un crooner meno baritonale ma quanto mai espressivo, che
racconta se stesso e il mondo che lo circonda, l’incomunicabilità (Hostiles),
la solitudine (Lonely Press Play), la dipendenza dalle droghe (You And Me), e
che nonostante ciò è ancora in grado di divertirsi e divertire (Mr. Tembo) e di
sorridere nello squarcio di sole finale di Heavy Seas Of Love, brano santificato
dalla collaborazione con Brian Eno. Il mood che pervade il disco tuttavia è
decisamente malinconico, anche se Albarn gestisce la materia da consumato
artigiano, tenendo a distanza melodramma e pathos, preferendo la prosa alla poesia,
il ragionamento all’impeto. L’andamento folk etereo, quasi onirico, di
Hostiles, il beat notturno di Lonely Press Play, il pianoforte jazz di the
Selfish Giant, la disperazione trattenuta di You And Me (sette minuti di esplicita
confessione sull’abuso di eroina: “carta
stagnola e accendino, la nave va da una parte all’altra”) e quella di
Hollow Ponds, con l’assolo di corno francese a richiamare il Miles Davis del
Concierto De Aranjuez, rappresentano i vertici di un disco bellissimo e alcune
delle cose migliori composte nell’ormai più che ventennale carriera. L’eterno ragazzo,
l’enfant prodige del brit pop, l’irrequieto Peter Pan dei mille progetti e delle
altrettante collaborazioni, sembra aver trovato la dimensione più congeniale
alla seconda parte della sua carriera artistica. Come un fuoco che non divamperà
più ma la cui fiamma continua a scaldare con seducente intensità. La
discrezione consapevole di una classe infinita.
VOTO: 8,5
Blackswan, lunedì 02/06/2014
7 commenti:
Ottimo album, sì anch'io preferivo gli Oasis sarà perché li avevo scoperti prima? Probabile :)
Cercherò di ascoltarlo quest'album, anche io come te ero partito dalla parte degli Oasis che ancora rimpiango, ai loro album ho legato tantissimi bei ricordi. Poi il talento di Albarn si è rivelato più o meno costante, quello dei due fratellini Gallagher un poco meno.
preferivi i pur ottimi oasis ai geniali blur?
chissà perché non mi stupisce... :)
non mi stupisce nemmeno il fatto che damon abbia tirato fuori un altro grandissimo disco, quanto il fatto che tu l'abbia apprezzato eheh
@ Barbara: decisamente un gran disco, che cresce, ascolto dopo ascolto.
@ Firma: i fratellini a cui anche io sono legato da ottimi ricordi, si sono persi quasi subito, mortacci loro...
@ Marco: io la bella musica l'apprezzo sempre, sei tu che fai un pò di fatica :)
Io invece ero "blur" a manetta....adoro Damon credo sia un artista eclettico ed eccezionale oltre che un ragazzo molto intelligente, cosa che non sono i fratelli gallagher....
Detto cio album bellissimo e tristissimo :))
Io invece ero "blur" a manetta....adoro Damon credo sia un artista eclettico ed eccezionale oltre che un ragazzo molto intelligente, cosa che non sono i fratelli gallagher....
Detto cio album bellissimo e tristissimo :))
Non ho mai veramente capito la diatriba degli anni novanta visto che Blur e Oasis erano (ai miei occhi) diversissimi. Occhei, valeva la pena tenere un occhio sugli Oasis, almeno all'inizio, ma mi era chiaro gia' allora che i Blur (Albarn?) avevano dentro qualcosa di acerbo che prima o poi sarebbe maturato...
Questo ultimo devo ancora sentirlo: provvedero'.
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