Anche a voler dedicare del tempo a una ricerca
approfondita nel web, le notizie relative a Tom Ovans sono davvero scarne. Per
conoscere il personaggio, dunque, è meglio ascoltare i suoi dischi, che in
parte potrete trovare su Itunes e ascoltare su spotify (si trova qualcosa ma
non tutto), oppure, con qualche difficoltà in più, reperire in supporto cd
presso i negozi specializzati. Il motivo di tutta questa reticenza è che Ovans
è un artista relegato ai margini dello show business così, come da uomo, lo è
stato ai margini della vita. Nativo di Boston, trasferitosi ad Austin da
una decina d'anni, Ovans ha vissuto a lungo come homeless, ha
viaggiato in lungo e in largo per gli States e ha svolto decine di lavori
diversi, senza tuttavia mai abbandonare la sua grande passione per la musica.
Oggi, alla veneranda età di sessant'anni comincia finalmente ad avere, grazie
al passaparola degli aficionados, quel minimo di riscontro commerciale che il
suo talento merita. Potremmo sprecare parecchi accostamenti per descrivere la
poetica del songwriter bostoniano: ad ascoltare le sue canzoni, infatti,
vengono in mente Joe Ely, Seasick Stevie, Vic Chesnutt, Neil Young
e Woodie Guthrie. Soprattutto però, fa capolino alle orecchie la figura di
Bob Dylan, dal quale Ovans ha ereditato la capacità di narrare storie di
disperazione, solitudine, emarginazione, colpendo dritto al cuore. E forse,
ascoltando questo ottimo Last Day On Earth viene da dire che l'alunno, almeno
per quanto riguarda gli ultimi anni di carriera del menestrello di Duluth,
abbia abbondantemente superato il maestro. Ci sono molti motivi per acquistare
questo nuovo full lenght (e magari anche quello precedente, Get On
Board) e vorrei elencarvene qualcuno. Per cominciare, particolare non da
poco, il disco è doppio (ma costa come un singolo) ed è composto da
trentaquattro canzoni, tutte bellissime. Poi, Ovans, possiede una voce che
tramortisce, cruda, alcolica, graffiante, capace di un timbro colloquiale,
quasi dimesso, che all'improvviso si inalbera in fiotti di
roca rabbia. In questa lunga scaletta (quella del primo disco
più elettrica mentre quella del secondo decisamente più acustica),
c'è tutta l'America che vale la pena di conoscere: la provincia rurale,
l'afrore del Mississippi, la desolazione di autostrade perse nel nulla, la
polvere di un peregrinare antico che si attacca agli stivali e ti brucia la
gola. Chitarra, slide, lap steel, armonica sono tutto il mondo di Ovans, un
mondo a cui approcciarsi con filologico stupore perchè capace di narrare
la storia e le tradizioni di una nazione molto meglio di tanti libri.
Soprattutto, e questo è il motivo più importante fra tutti, è che Ovans è
uno di quegli artisti che non ha nulla da perdere perchè alla musica ha dato
tanto, senza aver ricevuto nulla in cambio. Ci si presenta nudo, a mani vuote e
con un cuore grondante di dolore. Non c'è trucco e non c'è inganno: qui si
canta la vita, così com'è, senza artifici o abbellimenti stilistici, come se
fosse l’ultimo giorno da vivere su questa disgraziata terra. Allora,
canzoni come War e Caroline, lo sferragliamento neilyounghiano della title
track e il disincanto malinconico di California's Not What It Used To Be (da
quanto Dylan non scrive una canzone così?) ci svelano tutta la forza dirompente
di un disco capace di sfiorare vette eccelse con accordi e parole da pochi
cents. Chi ama la musica americana e la schiettezza se ne innamorerà
perdutamente: sono palpiti veri.
VOTO: 9
Blackswan, mercoledì 04/06/2014
2 commenti:
Cas... pita! con un voto così è d'obbligo procurarselo. Grazie sempre, per le segnalazioni.
@ Silvano : ero sicuro ti piacesse, visto che anche tu sei un appassionato di americana :)
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