The Delines potrebbero
essere definiti come una sorta di super-gruppo composto da musicisti
appartenenti a gruppi sconosciuti al grande pubblico. Chi invece mastica la
scena alternativa a stelle e strisce, sa bene che Jenny Conlee è la tastierista
dei The Decemberists, che Tucker Jackson milita nei Minus 5, che Amy Boone e Deborah Kelly (qui, ai cori)
prestano le loro voci al progetto Damnation TX, mentre Willy Vlautin è il
leader degli splendidi Richmond Fontaine. Quest’ultimo, in particolare, è un
personaggio da tenere d’occhio, perché non si limita a comporre belle canzoni,
ma in patria (e piano piano lo sta diventando anche da noi) è un romanziere
molto considerato (in Italia è appena uscito il suo terzo romanzo, La Ballata
di Charley Thompson, edito da Mondadori). Ne consegue che, come accade per i
citati Richmond Fontaine, la scaletta di Colfax (titolo ispirato alla Colfax
Avenue, stada di Denver in cui si svolge buona parte del romanzo poc’anzi
citato) non sia solo un filotto di ottime canzoni, ma trovi nell’elemento
narrativo una caratteristica niente affatto marginale. Vlautin scrive testi che
sono brevi racconti, adopera una prosa essenziale ma estremamente incisiva, con
la quale racconta vite ai margini, il mondo dei blue collar, dei perdenti, di
uomini e donne, costretti dal destino, a vivere intrappolati in un’esistenza
che soffoca nella disperazione ogni sogno di fuga e di riscatto. Un’America
lontanissima dalle middle classes e dall’american dream, i cui personaggi, pur
destinati alla sconfitta, sono connotati da quel romanticismo che abbiamo
ritrovato, molto spesso, anche nei testi di Springsteen. Quadri di un toccante verismo
inseriti in una cornice musicale minimale, che cita i Cowboy Junkies e gli
Spain (anche se un con atmosfere decisamente meno jazzy e dilatate), e che
sviluppa l’idea di un country soul notturno appena screziato da accenti rock e
impreziosito dai ricami di pedal steel di Tucker jackson, vero punto di fuga di
ogni composizione. Undici canzoni, tra cui la cover di Sandman’s Coming di Randy
Newman, il cui mood malinconico sarebbe perfetto per accompagnarci su qualche Interstate
“in the middle of America”, in un viaggio tra paesaggi e emozioni, dal tramonto
(la languida lentezza dell’iniziale Calling In evoca innanzi a noi tutti i
colori del crepuscolo) all’alba, così ben disegnata nei barbagli psichedelici
della conclusiva di 82nd Street (”The sun
is coming up. I ain’t done in i’m just getting up”). Rispetto alla
mediocrità qualitativa delle uscite discografiche di questa prima parte del
2014, Colfax spicca per bellezza e intensità, tanto che verrebbe voglia di
pronunciare la parola “capolavoro”. Non è così ma poco ci manca.
VOTO: 9
Blackswan,sabato 05/07/2014
1 commento:
gran bel disco questo. da nove non direi, ma il sette pieno, se lo prende.
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