giovedì 14 agosto 2014

ASTRONAUTS – HOLLOW PONDS




Sotto il moniker di Astronauts si cela Dan Carney, voce e chitarra dei Dark Captain Light Captain, gruppo londinese che spazia fra territori post rock e delicate fragranze di folk pastorale (hanno all’attivo un gran bel disco, Dead Legs and Alibis del 2011). Una band dagli umori prevalentemente malinconici, a cui Carney, in questo progetto solista, ha voluto uniformare il mood delle canzoni, spinto oltretutto dal momento particolarmente critico in cui ha messo mano alle composizioni (una lunga degenza ospedaliera a seguito di una brutta frattura alla gamba). Ne è venuto fuori un lavoro umbratile e nebbioso, costituito da lunghe canzoni costantemente in chiaro scuro (quasi tutte della durata superiore ai quattro minuti) che dispiegano umori depressi attraverso paesaggi sonori in cui una bruma lattiginosa svela solo a tratti asfittici barbagli di sole. Chitarra acustica, elettronica minimale, arrangiamenti d’archi, briciole di psichedelia e lirismo post-rock sono le caratteristiche di un disco dallo sviluppo sonoro omogeneo, in cui è possibile intravvedere  rimandi ai Radiohead, a Nick Drake, a Fink o, per fare un accostamento più recente, ai Midlake e agli Other Lives di Tamer Animals. Hollow Pound scorre, canzone dopo canzone, con inusuale intensità, tra folktronica meditabonda (Skydive), carezzevoli ballate in agrodolce illuminate da poche note di piano (Slow Days), languida psichedelia che azzarda fusioni fra Radiohead e Simon & Garfunkel (Hollow Pounds) e la scossa elettrica (anomala rispetto al resto dell’album, eppure perfettamente contestualizzata) di Openside, lunga deriva post-rock con vista sui Sonic Youth. Un disco il cui mood malinconico concilia la meditazione e si sposa meravigliosamente con la caducità emotiva dell’autunno (così come suggerito anche dalla splendida cover dell’album).

VOTO: 7,5





Blackswan, giovedì 14/08/2014

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