Se è vero che spesso le colpe dei padri ricadono
sui figli, è altrettanto vero che la stessa cosa succede anche coi meriti. E'
pieno il mondo infatti di figli che patiscono la gloria paterna, tanto da
esserne in qualche modo sotterrati dal confronto. Succede nella vita di tutti i
giorni, succede in ogni ambito artistico e quindi, è inevitabile succeda
anche nello spietato mondo del rock. Immaginate ad esempio come
dev'essere la vita artistica del povero Devon Allman, che non solo è figlio del
grande Gregg, leader indiscusso della Allman Brothers Band e sulla cresta
dell'onda ormai da più di quarant'anni, ma annoverava fra i parenti
stretti anche il compianto Duane, uno fra i più funambolici chitarristi che la
storia ricordi. In una situazione di questo tipo, si ha sempre l'impressione
che la propria identità artistica viva di riflesso o all'ombra
del passato glorioso del proprio parentado; che qualunque cosa uno faccia,
anche se di qualità, alla resa dei conti finirà sempre per essere bollata
come l'opera del figlio di..., con buona pace della propria indipendenza
creativa. Per non parlare poi delle male lingue, sempre pronte a indicarti come
un raccomandato, uno che non sarebbe arrivato da nessuna parte senza una
cospicua dose di nepotismo. Devon Allman, a dispetto dell'ingombrante cognome,
è invece un musicista che, senza aver disconosciuto le proprie radici, è riuscito
a crearsi una ben delineata personalità, e questo Ragged & Dirty, il
miglior album della sua discografia, è qui a dimostrarcelo. Non più solo
southern rock (Devon annovera anche una militanza con la Royal Southern
Brotherhood), ma un suono invece che vira decisamente verso il rock blues.
Non è un caso quindi che il disco sia stato registrato a Chicago e che veda
nella line up un pugno di musicisti che la materia la mastica
quotidianamente: il chitarrista Giles Cray, Felton Crews (bassista di Charlie
Musselwhite), Martin Sammon alle tastiere e già con Buddy Guy, e infine il
grande batterista e produttore Tom Hambridge (Buddy Guy, Johnny Winter), che
firma anche molti brani dell'album. Se l'iniziale Half The Truth è un ruggito
chitarristico che si muove per territori ormai consueti, il resto del disco
sfoggia invece il composito repertorio di idee di Devon, che
travalica gli steccati del dna, e ci regala una prova solidissima in cui
blues, rock, funky e soul ribollono nel calderone che il drumming spezzato e obliquo
di Hambridge cucina, utilizzando spezie dal sapore vagamente jazzy. Il
risultato è un disco variegato, suonato magistralmente (il lungo e cupo
blues strumentale di Midnight Lake Michigan è da urlo), e in cui la
voce possente di Devon e la sua chitarra, nera come la pece, esprimono la
maturità e la forza espressiva di chi non deve più nulla a nessuno. A
prescindere dal cognome.
VOTO: 7,5
Blackswan, martedì 18/11/2014
2 commenti:
Bello! Hai scelto quello giusto.
@ Mr Hyde: e questa canzone è veramente fantastica.:)
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