Dimenticatevi gli anni '90, dimenticatevi Mellon
Collie And The Infinite Sadness, dimenticatevi quello che era uno dei gruppi
più eccitanti di quel decennio, capace di rinfocolare le ceneri del grunge con
il nobile legno del progressive e la benzina del pop. Gli Smashing
Pumpinks tornano a noi e non sono più gli Smashing Pumpkins. Non lo erano più
nemmeno con Oceania (2012), anche se quel disco, quel buon disco, aveva punti
di contatto con il passato che in Monuments To An Elegy vanno cercati con il
lanternino. A capo del vaporetto c'è sempre e solo Billy Corgan, padre e
padrone del progetto, da tempo liberatosi dal tormento di avere dei condomini
ingombranti (qui c'è un gruppo di ossequiosi palafrenieri, tra cui Tommy
Lee dei Motley Crue) e quindi unica vera costante in più di
vent'anni di storia. Gli Smashing, insomma, sono solo Corgan e la sua
inconfondibile voce, marchio di fabbrica che ti permetterebbe di identificare
la band, nei secoli dei secoli, qualsiasi cosa faccia. E' proprio il timbro del
calvo chitarrista a rappresentare il più solido punto di contatto con la
precedente discografia, dal momento che un certo suono costituito da
stratificazioni chitarristiche, vibranti dirompenze hard (qualcuno davvero
si aspetta di ascoltare ancora una Zero?) e obliqui quanto raffinati
sperimentalismi, vive ormai relegato a brevi momenti. Corgan è uno che ha
sempre seguito la sua strada, provando a cambiare le carte in tavola in base al
proprio istinto, tentando, disco dopo disco, di modellare la primitiva irruenza
di Gish (1991) attraverso chiavi di lettura diverse, fossero queste il
progressive (Mellon Collie), la potenza della ritmica (Adore), le suggestioni
elettroniche (Machina). Oggi, le zucche, o meglio la zucca, cambia di nuovo, e
ci regala un disco smaccatamente pop, deliberatamente retrò (l'eco degli anni
'80 è una costante), volutamente accessibile. Non un gran disco, ma un buon
disco si: compatto e coerente fino all'ultima nota, zeppo di ganci melodici
paraculi ma irresistibili (Dorian), ricco di citazioni inaspettate, che pescano
ricordi più nei Cure poppettari che nell'epica degli anni '90. Le chitarre
restano in cantina e quando suonano, suonano come scorie genetiche
refrattarie alla mutazione. In Monuments To An Elegy, le danze sono
condotte dai sintetizzatori, che ci accompagnano in tutte le nove canzoni
di un album concentrato in soli trentacinque minuti. Una concisione che, a
differenza del passato, rende tutto essenziale, ci sgrava da filler ed esalta
la buona vena compositiva degli Smashing (ops, Corgan). E' pop tout court, ma ci
piace. Bella lì, Billy!
VOTO: 7
Blackswan, giovedì 11/12/2014
3 commenti:
oceania era pessimo!
questo nuovo invece è finalmente il primo disco degno di nota firmato dal buon billy da (almeno) un decennio a questa parte.
era ora!
@ Marco: Oceania non era affato male, invece. Questo, è sicuramente meglio.
In questo video si riconosce bene lo stile "Smashing Pumpkins"
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