Non ci sono dubbi che
questa recensione sia fuori tempo massimo, dal momento che i due dischi di cui
vado a parlare risalgono al 2014; eppure, il mio ritardo di qualche mese non è
nulla al confronto di quello accumulato da queste due band, i cui rispettivi
esordi, pubblicati lo scorso anno, sembrano risalire a un passato lontano mezzo
secolo, più o meno.
Gli Empty Hearts sono un supergruppo, i cui membri, pur
provenendo da esperienze abbastanza dissimili, sono accumunati dalla
passionaccia per un suono che gli storici del rock fanno risalire alla cosi detta
british invasion: Kinks, Yardbirds, Who, Beatles e Rolling Stones. Loro sono
Elliot Easton (ex Cars) alla chitarra solista, Wally Palmar (ex Romantics) alla
voce e alla chitarra ritmica, Andy Babiuk (ex Chesterfield Kings) al basso e
Clem Burke (ex- Blondie) alla batteria. Non ci sono dubbi che la scelta degli
Empty Hearts (il nome è ispirato a una canzone dei Rolling Stones datata 1964)
travalichi abbondantemente i confini dell’anacronismo; eppure i nostri quattro,
la cui età media è prossima a superare la sessantina, riescono a inanellare una
scaletta che suona tutt’altro che stantia. Merito di una classe indiscutibile,
di una buona dose di autoironia e di una produzione che dosa sapientemente
ritornelli orecchiabilissimi e chitarre roboanti.
Altro discorso, invece, per i
Blues Pills, che sono molto più giovani, stanno con un piede in Svezia e uno
negli States, e prendono le mosse da quelle sonorità hard rock blues psichedelico
in voga verso la fine anni ‘60, targato
Jimi Hendrix, Cream, Blue Cheer e compagnia cantando. Dopo un paio di Ep che avevano
già suscitato l’attenzione degli addetti ai lavori, i Blues Pills sono
finalmente usciti con il loro primo full lenght, la cui copertina vale di per sé
più di mille parole, per spiegare cosa ci si possa aspettare dalle dieci tracce
in scaletta. Solidi, potenti e grezzi quanto basta, i Blues Pills rivisitano
una materia arcinota con grande entusiasmo e padronanza tecnica e filologica,
grazie anche al piglio di Elin Larsson, il cui timbro graffiante non solo rappresenta
il surplus emozionale di ogni brano, ma finisce inevitabilmente per stuzzicare
la nostalgia di coloro che quella voce se la ricordavano provenire dalla bocca
di una certa Janis Joplin. Qualche momento dilatato e lisergico, psichedelia
come se piovesse e dei bei riffoni di hendrixiana memoria, fanno di questo
esordio un disco piacevolissimo, ma privo di quei guizzi di originalità che ti aspetteresti
affinchè la passione per il vintage non si traduca esclusivamente in pedissequa
rivisitazione.
VOTO THE EMPTY HEARTS: 7
VOTO BLUE PILLS: 6,5
Blackswan, domenica 25/01/2015
2 commenti:
Bella roba, man...
Ah, i Blondie...
comunque tornando alla matrice svedese dei Blues Pills, è da ricordare come la Svezia sia patria anche di importanti gruppi progressive (come sai, io torno sempre là...)
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