Quale sia stato (o sia) il
più grande chitarrista della storia è una domanda oziosa alla quale è
impossibile dare una risposta. Tuttavia, in un’ipotetica conversazione tra
amici, durante quelle ciance da ubriachi che si fanno a notte fonda, quando il
tasso alcolico è particolarmente sostenuto, io lotterei fino all’ultima pinta
per far valere il primato di Rory Gallagher. Senza togliere nulla a mostri
sacri del calibro di Hendrix o Page, da sempre provo un amore viscerale per il
chitarrista irlandese, originario di Ballyshannon. Ovviamente ho i miei buoni
motivi, è non dipendono esclusivamente dalla consanguineità alcolica. Nonostante
una tecnica portentosa, che non aveva nulla da invidiare ad altri fenomeni suoi
contemporanei, Gallagher era tutto tranne che una star: schivo, umile,
riservato, viveva la musica ben lontano dallo showbiz e gli unici riflettori
che illuminavano il suo talento erano quelli del palco, l’habitat entro il
quale si muoveva con esaltante sicurezza. Nessuno sfoggio di classe fine a se
stesso, però, nessun orpello stilistico per dimostrare quanto fosse bravo: Rory
e la sua mitica Sunburst potevano tutto, eppure preferivano regalare al
pubblico solo l’aspetto più verace della musica, un tumultuoso rock blues
dotato di sferzante e sudatissima energia. Se mi concedete una metafora calcistica,
ho sempre pensato a Gallagher come a un numero 10 che preferiva stare in mezzo
al campo, là dove la battaglia infuria, pressando, randellando e rincorrendo
tutti. Ben conscio che, al momento necessario, avrebbe avuto ancore le forze e
l’intuizione per decidere da solo la partita, piazzando la palla proprio là,
dove il portiere sarebbe mai arrivato, nemmeno volando. Irish Tour è
probabilmente il punto più alto della discografia del chitarrista irlandese e
la summa della sua verace poetica musicale. Registrato in giro per la sua Irlanda,
tra Cork, Belfast e Dublino in un momento storico in cui, da quelle parti, non
ci metteva piede nessuno per ovvi motivi di incolumità personale, Irish Tour
esce originariamente in doppio vinile e diviene fin da subito una sorta di
pietra angolare per tutti i live che seguiranno (vendette due milioni di copie
e Melody Maker lo votò miglior disco dal vivo dell’anno). Una scaletta al
fulmicotone, in cui Gallagher esegue al meglio il meglio del suo repertorio
(Cradle Rock, Tatoo’d Lady, A Milion Miles Away), e si esibisce anche in un
pugno di cover, tra cui spicca la mitica I Wonder Who di Muddy Waters.
Acceleratore schiacciato a tavoletta, furore blues e fiammeggianti
improvvisazioni per una performance solida, coriacea e debordante energia usque
ad finem, che vede al fianco di Gallagher una band coi controcazzi: Gerry
McAvoy al basso, Lou Martin alle tastiere e Rod De'Ath alla batteria. A
fine ottobre dello scorso anno, è uscito un suntuoso box set di Irish Tour,
contenente ben 7 cd audio ed il dvd del documentario "Irish Tour" diretto
da Tony Palmer. Nel
cofanetto sono presenti tre fantastiche esibizioni complete, una a Belfast del
Dicembre 1973 ed altre due a Cork e Dublino del Gennaio 1974, oltre ad una
session alla splendida City Hall. Tanti inediti, ottima resa qualitativa del suono, packaging elegantissimo e un
booklet ricco di foto d’epoca. Un appuntamento imperdibile per i fans di Gallagher
e per tutti coloro che amano la chitarra elettrica.
Blackswan, domenica 11/01/2015
6 commenti:
Questo post ha rinverdito un antico amore. Grazie
@ Berica : i grandi amori non muoiono mai :)
Rory, in quanto a tecnica, non aveva niente da invidiare a nessuno. Invece, in quanto ad umanità e coerenza, pure.
Non è mai entrato nelle classifiche che contano, solo ed esclusivamente per scelta ed avversione verso lo star system . Ha vissuto spesso solo e praticamente nello stesso modo è morto. Con grande coerenza.
L'ho sempre amato e tra l'altro la canzone che hai postato, è la mia preferita.
Un abbraccio.
Grande pezzo, grande Gallagher.
Ma quanto sembrava felice mentre suonav?
Suonava, mannaggia.
Se no sembro Cattivik...
@ Granduca: un artista grandissimo, uno dei pochi di cui non mi sono mai perso un disco. Besos :)
@ Ezzelino: credo che lo fosse davvero, Cattivik :)
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