Intitolare un disco Il Mio Stile potrebbe suonare un
filo autoreferenziale; così come porre a inizio scaletta una canzone dal titolo
Sono Come Mi Vedi, riassunto in note di una carriera e di una vita, il cui
testo programmatico si ispira a My Way di Frank Sinatra (peraltro espressamente
citato nel testo). Dopo vent'anni di onorata carriera, però, Giovanardi se
lo può permettere. E non solo perchè il suo stile, consolidato con la militanza
nei Carnival Of Fools e nei La Crus e affinato in quattro dischi solisti, è un
indiscutibile dato di fatto; ma soprattutto perchè il cinquantatreenne
cantautore monzese (ha compiuto gli anni un paio di giorni fa) può
guardarsi alle spalle con la soddisfazione e l'orgoglio di chi,
con coerenza artistica, ha saputo scrivere alcune delle pagine più interessanti
del panorama pop (e non solo) italiano. Ma se lo stile è l'incarnazione
dell'estetica di un suono e di un modo d'essere, la classe ne è la sostanza,
l'elemento imprescindibile che fa la differenza ogni volta che si inserisce un
cd nel lettore. Così Giovanardi può vantare anche una classe immensa, che
risalta ancor di più, perchè inserita nel grigiore della scena musicale
italiana, che si nutre di cantautorato nazional popolare, rock derivativo e
alternative modaiolo e senz'anima. Il Mio Stile si allontana
invece da tutto ciò, è un album scritto con cura artigianale, partorito in
un lungo lasso di tempo (quattro anni di lavoro, intervallati dalla parentesi
di Maledetto Colui Che è Solo con i Sinfonico Honolulu), frutto della
consapevolezza di chi è capace di mettersi sempre in discussione, di ripartire
da zero, di osare e metterci la faccia. Sarebbe riduttiva la definizione di pop
raffinato che talvolta si usa a proposito dei suoi lavori: Giovanardi ci porta
molto oltre, ci racconta storie, costruisce immagini, spazia fra i generi,
oscillando fra tradizione italiana, elettronica e sonorità a tratti
decisamente americane (il soul di Sono Come Mi Vedi e il gospel di Se C'è Un
Dio) e morriconiane (la splendida Su Una Lama), si affida a una sezione fiati
che rende il suono più scintillante, e quindi meno ombroso, ma cesella
egualmente con la sua magnifica voce da crooner momenti di toccante
malinconia (Nel Centro Di Milano, Tre Volte), veste di linfa
espressionista la title track a firma Leo Ferrè (unica cover presente nel
disco) e azzarda un riuscito accostamento fra sacro e profano (la carnalità
sfacciata di Se C'è Un Dio). I testi, ben lontani dagli stereotipi più frusti a
cui siamo abituati, sono il degno coronamento di un album suonato
ottimamente, capace di emozionare e divertire al contempo, intelligente
sopra ogni cosa. Classe e stile a iosa.
VOTO: 7,5
Blackswan, martedì 05/05/2015
2 commenti:
mi piace
:)
Uno dei migliori in Italia
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