Al netto di una delle copertine più brutte dell'anno e
di un titolo da fantasia ad alzo zero, il nuovo album in studio di Mikal Cronin
è un buon disco. Cresciuto alle spalle del mentore Ty Segall, per il quale ha
suonato il basso e dal quale ha tratto, almeno inizialmente, più di
un'idea, il trentenne songwriter americano giunge al suo terzo album
completando la personale parabola creativa, inziata nel 2011 con l'omonimo
album d'esordio. MCIII affronta, dunque, in modo compiuto i temi già sviluppati
nel suo predecessore (MCII del 2013): accantonare il garage rock, allentare la
presa dei fuzz e dedicarsi anima e corpo al verbo dell'indie pop. Il tutto,
senza però rinnegare la propensione per i ritmi alti e le esplosioni
di colore, contravvenendo all'assunto che per affondare il coltello nella
malinconia occorra assumere pose da bel tenebroso o da tormentato in fin di
vita. La bellezza di MCIII risiede proprio nella capacità di Cronin di creare
suggestioni e intimismo anche laddove, invece di immergersi in
crepuscolari brume autunnali, si preferisce giocare col sole e con gli
umori cangianti della primavera. In qualche modo, a prescindere da ogni
differenza stilistica, Cronin fa sua la lezione di Elliott Smith, che (mi viene
in mente Figure 8) riusciva a nascondere nel pop momenti di profonda
inquietudine. MCIII è dunque un disco che suona apparentemente allegro e
disimpegnato, eppure riesce comunque a indurci ad ascolti di gran
coinvolgimento emotivo. Talvolta, Cronin eccede negli arrangiamenti
creando un'eccessiva sovraesposizione "orchestrale", ma riesce
comunque a tenere il filo del discorso fino alla fine e con assoluta
credibilità. Gli si potrà quindi contestare una minore immediatezza
rispetto ai due album passati e una certa grandeur nei suoni e nella struttura
dell'album (la seconda parte del disco è una sorta di mini concept
che guarda agli anni '70), ma non certo un'ispirazione sottotono, visto che
MCIII abbonda di gioiellini pop da ascolto compulsivo (Made My Mind Up su
tutte). Non certo un'opera che cambiera il corso del 2015, ma un disco che
conferma le qualità di un autore che sembra aver definitivamente trovato la
propria identità. Radio frendly, ma con intelligenza.
VOTO: 7
Blackswan, giovedì 18/06/2015
1 commento:
Condividendo la tua recensione, questo disco comunque è tra i miei primi tre (finora) del 2015.
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