Come
ogni anno è finalmente giunto il tanto agognato momento delle vacanze estive.
Il blog pertanto resterà chiuso per un paio di settimane. Colgo l'occasione per
salutare tutti, augurare buone vacanze a chi parte e buona fortuna a chi resta
in città a farsi torturare dal caldo. Ci ritroviamo ad agosto.
Secondo full lenght, dopo Nothing But Time dello
scorso anno, per i Midnight Pilot, terzetto di amici (arrivano da
Nashville, Tennesse) che suona insieme da quando indossavano i calzoni
corti e che fin da ragazzini condividevano la stessa passione per la
musica. Una passione che li ha portati a venerare quella musica country che a
Nashville è di casa, ma anche un certo pop di derivazione anglosassone, quello
cioè che vede i Coldplay come gruppo di riferimento. La fusione di questi
due modelli di ispirazione ha prodotto una piacevole miscela tra il
suono tradizionale americano (qui richiamato dall'uso di strumenti
roots come, ad esempio, il banjo) e godibilissime melodie facili da
canticchiare e zuccherine come un bicchiere di giulebbe. Nulla che ci faccia
strabuzzare gli occhi dalla sorpresa (in fin dei conti, con gli accenti
leggermente spostati, queste cose le abbiamo già sentite fare dagli Avett
Brothers), ma Midnight Pilot è indubbiamente un disco che scorre sul piatto con
la leggerezza e la fragranza di sentori primaverili. Non tutte le canzoni sono
centrate, è vero, e ogni tanto compare un pò di pompa negli arrangiamenti
e i ragazzi si perdono in qualche sbrodolamento melodrammatico (d'altra parte
arrivano da Nashville). Ma brani come l'iniziale Give Me What You Gave To Him
sono una autentica delizia per le orecchie, mentre qualche zampata più
rock (Losing The Heart) ci ha spinto a investire con piacere qualche
soldo per l'acquisto del disco. Nulla di imperdibile, per carità, ma cinquanta
minuti di buon folk pop per un ascolto disimpegnato e, perchè no, persino
intrigante.
Da oggi Radiopanesalame si
prende una meritata pausa dopo un'incredibile stagione. Sarà però una pausa
ricca di contenuti inediti: dalle nuove playlist estive a programmi in diretta,
passando per la pubblicazione di podcast di trasmissioni o eventi non ancora
trasmessi. Che dire di più? Ah sì: buone vacanze con radiopanesalame.it, come
una radio più di una radio!"
Il 25 settembre del 2014,
qualche tempo dopo la pubblicazione dell’ultimo full length, World on Fire,
Slash insieme a Myles Kennedy, cantante degli Alter Bridge e da tempo suo
illustre sodale, e ai Conspirator (Brent Fitz alla
batteria, Todd Kerns al basso e voce e Frank
Sidoris alla chitarra), si ritrova a suonare sul palco del
mitico Roxy Theatre in Sunset Boulevard, locale nel quale il riccioluto
chitarrista di origine inglese mosse i primi passi tanti anni fa. Le canzoni
eseguite, come è di prassi nei tour promozionali, provengono per la maggior
parte dal disco in studio appena pubblicato, ma non mancano ovviamente i grandi
classici della carriera di Slash, sia quelli relativi alla sua militanza con i
Velvet Revolver (Slither), che quelli, ben più famosi, del periodo Guns n’
Roses (Nightrain, Rocket Queen, Sweet Child Of Mine e il finale dedicato all’immancabile
Paradise City).Una band affiatatissima, la grande voce di Kennedy, il tocco
epocale e gli assoli fulmicotonici di Slash sono gli ingredienti di un live
divertente, intenso e da ascoltare a tutto volume. Nulla che cambi una sola virgola
di una carriera (che fu) straordinaria, ma sicuramente una ghiotta occasione per
gustarvi dal vivo il tiro di fuoco impressionante di uno dei chitarristi più
influenti in circolazione. Tanto mestiere, onestissimo hard rock e chitarra
infuocata. Il live è pubblicato in versione dvd oppure in versione doppio cd
(tra l’altro a un prezzo onestissimo).
Certe storie possono arrivare solo dall'America, terra
di grandi contraddizioni e di speranze, ove può accadere tutto e il contrario
di tutto. Succede, allora, che un grande musicista, come Charlie
Parr, abbia vissuto ai margini del music business per anni, producendosi i
dischi da solo (o con la collaborazione di microscopiche etichette) e
suonando in piccoli locali praticamente a prezzo di costo. Poi, quando le cose
sembravano immodificabili e i sogni di gloria evaporati sotto l'amara
benedizione degli dei della realtà, qualcosa succede. Niente di eclatante, per
carità, ma Charlie Parr viene notato, apprezzato e messo sotto contratto
dall'etichetta indipendente Red House, non un colosso, ma grande a sufficienza
per consentire una peculiare distribuzione anche fuori dai confini locali. Un
pò come era successo a Seasick Steve e Tom Ovans, per citare altri due
misconosciuti artisti, a cui un barlume di notorietà arrivò solo in età
avanzata. E si che il cantante e chitarrista originario di Austin, ma cresciuto
a Duluth, nel Minnesota (vi ricorda qualcuno?), si era parecchio dato da fare
fin dall'inizio del nuovo millennio, pubblicando tredici cd (studio e live) in
una decina d'anni. Tuttavia, è solo con l'ultimo full lenght, che questo
talentuoso bluesman e fuoriclasse della Resofonica, è riuscito a imporsi
all'attenzione di un pubblico più vasto, il quale con molta probabilità, dopo
aver ascoltato Stumpjumper, si sarà messo alla vana ricerca di tutti i
precedenti, e pressochè introvabili, lavori. In viaggio attraverso le mille
sfumature del southeastern blues (con un pizzico di country e blue
grass), le canzoni di Charlie Parr affondano le loro radici nella grande
tradizione rurale americana, traboccano di negritudine ma sono anche
irrimediabilmente marcate da quella "Ruggine Americana", da quel
sogno bianco e americano, il cui fallimento è magistralmente narrato nel
romanzo di Philip Meyer. Tra polvere e birra ghiacciata, paesaggi scarnificati
e natura incontaminata, Parr rappresenta la visione essenziale e
cruda di un'America che, come dicevamo all'inizio, vive di continue
contraddizioni, ma i cui soundscapes sanno produrre infinite suggestioni.
Delia, la murder ballad finale, è il manifesto perfetto per un disco
di blues scarno, essenziale, fremente.