Fan della band fin dall'inizio, ricordo di aver
assistito al primo concerto degli Editors in Italia, tenutosi in un locale di
Milano, il 10 novembre del 2005, di fronte a un pubblico non superiore alle
duecento unità. Il tour era quello del disco d'esordio, The Back Room, album
che fece drizzare le orecchie alla stampa specializzata e a tutti coloro che
avevano lasciato il cuore a certa dark wave targata anni '80. Il successo del
primo disco fece uscire il combo capitanato da Tom Smith dalla nicchia
alternative, proiettando gli Editors verso un progressivo successo
internazionale, decretato dall'uscita dell'ottimo An End Has A Start (2007).
Poi, come spesso accade quando la pecunia prende il sopravvento sulla coerenza
artistica, escirono altri due dischi, il discreto, ma non certo memorabile, In This Light And On This Evening (2009) e il
pessimo The Weight Of Your Love (2013), che hanno spinto la band di Stafford
nel novero dei gruppi prescindibili, quelli che magari vendono bene (in Italia,
ad esempio, The Weight Of Your Love è entrato nella top ten nostrana di
vendite) ma si fanno dimenticare il giorno dopo. Nel momento di mettermi
all'ascolto di In Dream, quindi, riservavo ben poche speranze di trovarmi di
fronte al disco dell'anno. Il quale, ci tengo a chiarirlo subito, è
sicuramente meglio del suo predecessore (non è che ci volesse molto), ma resta
comunque ben al di sotto del fascino malinconico da cui erano adombrati i primi
due capitoli della saga. Quanto meno, gli Editors hanno fatto uno sforzo per
uscire da quella direzione stoltamente presa, che li avrebbe potuti condurre verso lo
status di (rock) band da stadio, al pari, per fare un tristissimo esempio, dei
conterranei Coldplay. In In Dream c'è quantomeno un tentativo di mantenere un
tiro meno mainstream, di riportare la musica, ormai abbondantemente virata
verso l'elettronica, ai cupi fasti di The Back Room. Il tentativo, tuttavia è
riuscito solo a metà. Il suono, che guarda un pò ai Depeche Mode, un pò ai
Cure e un pò ai Joy Division, con uno spiccato retrogusto eighteis, trova
nella splendida voce di Tom Smith (bravo a spaziare con misura dal
registro baritonale al falsetto) il suo marchio di fabbrica. Tuttavia, quello
che manca per una sufficienza abbondante sono le canzoni: solo alcune, infatti, sono davvero
all'altezza della fama del gruppo (No Harm, Life Is Fear, The Law), mentre
la maggior parte della scaletta lascia nelle orecchie un'insipida
sensazione di deja vu dal mood post adolescenziale. In definitiva, In Dream
è un album che attraversa le casse dello stereo senza sussulti, non
inascoltabile, certo, ma emozionalmente privo di picchi. a ben vedere, possiamo però rallegrarci del fatto che gli Editors, si spera anche per il
futuro, abbiano in parte cancellato l'esiziale deriva imboccata con The
Weight Of Your Love.
VOTO: 6
Blackswan, mercoledì 07/10/2015
2 commenti:
Pessimo veramente "The Weight Of Your Love"...
Questo invece lo sto apprezzando parecchio, lo trovo perfetto per l'inizio d'autunno. Splendida la prima traccia (No Harm).
Nel complesso gli darei un un 7.
@ Lucien: ascoltato e riascoltato, non riesce a convincermi fino in fondo. Forse sono troppo legalto a un suono più chitarristico.
No Harm è effettivamente la migliore del lotto
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