Greenwich Village, New
York. Da questo quartiere di Manatthan, fra gli anni’50 e ’60, esce la meglio gioventù
degli Stati Uniti: i poeti della Beat Generation (Allen Ginsberg, Jack Kerouak),
sperimentatori onnivori (Frank Zappa, Andy Wharol), attori che in breve tempo
conquisteranno fama mondiale (Al Pacino, Dustin Hoffman, etc.) e le avanguardie
intellettuali della nuova scena folk (Bob Dylan, Joan Baez, Phil Ochs). Al Village,
arriva da Seattle anche una giovane e bellissima cantante che, dopo aver
concluso una formazione da pianista classica, imbraccia la chitarra e parte a
cercare fortuna nella Grande Mela, con in tasca il santino di Pete Seeger. Non
le ci vuole molto a farsi notare: possiede un paio di occhi blu da mozzare il
fiato (è lei la Judy di Suite: Judy Blue Eyes, cantata dai CS&N) e una voce
da soprano che, una volta ascoltata, non ti scordi più. Nel 1961, infatti,
viene vista da un manager della Warner e messa subito sotto contratto. A Maid
Of Constant Sorrow, il suo esordio datato 1961, viene oggi ripubblicato in una
versione ripulita e rimasterizzata, che toglie al disco la polvere dei cinquantaquattro
anni passati dalla sua uscita. La Collins, ai tempi, ancora non scriveva, ma
reinterpretava pezzi altrui con straordinario trasporto. Nello specifico, la
scaletta di A Maid Of Constant Sorrow è composta esclusivamente da brani folk
appartenenti alla tradizione (ad eccezione di Tim Evans, canzone a firma Ewan
MacColl), suonati e cantati nel classico stile delle canzoni sociali di
protesta, quelle cioè che rimandano immediatamente ai primi lavori di Bob Dylan.
Disco interamente acustico e dagli arrangiamenti assai scarni (ad accompagnare
la Collins ci sono Fred Hellerman alla chitarra, Erik Darling al banjio e Bill Lee
al basso), A Maid Of Constant Sorrow, pur mancando di una vera identità
artistica (la Collins inizierà a comporre cinque anni più tardi), restituisce
però all’ascoltatore, grazie al grande lavoro di pulizia dei nastri, il suono e
gli umori di un’epoca, e, soprattutto, una voce modulata, intensa e dall’impossibile
estensione. Nonostante la giovane età, Judy Collins era tutt’altro che acerba e
sapeva perfettamente il fatto suo. Tanto che, a riascoltare questo disco, torna
alla mente il talento vocale di un altro grande folk singer: Tim Buckley, uno
che sapeva usare la sua estensione canora esattamente come fosse uno strumento.
Non un capolavoro, ma sicuramente un interessante documento storico.
VOTO: 7
Blackswan, domenica 11/10/2015
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