Accantonata
per il momento la fortunatissima avventura con la casa madre, il frontman dei
Depeche Mode, Dave Gahan, torna al suo progetto parallelo, sfornando il secondo
album a firma sua e dei Soulsavers. Come domandarsi: esiste vita sul pianeta
terra al di fuori del pigmalione artistico con Martin Gore? Si, esiste, come
peraltro Gahan aveva già dimostrato nel precedente, ottimo, The Light The Dead
See (2012). Anzi, c'è così tanta buona musica in questo secondo full lenght a
titolo personale, che quasi ci si rammarica che alcune di queste canzoni
non siano finite su Delta Machine (2013), ultima fatica a firma DM, che avrebbe
potuto essere anche migliore di ciò che in realtà fu. Perchè, a ben ascoltare, Gahan
in solitaria riesce a tirare fuori un suono più caldo e bluesy, in bilico fra
luce e penombra, lontano per indole da quell'algida, ancorchè riuscita,
architettura di synth che da sempre caratterizza la musica dei Depeche. Ci sono
più angeli che demoni nelle nove tracce che compongono il disco, come a dire
che il peggio è passato (dipendenze assortite e malattie potenzialmente
esiziali) e che i fantasmi tornano solo di tanto in tanto a far breccia, come
doloroso, ma utile, ricordo, nella vita artistica di uomo che ormai tiene
saldamente in mano il timone del proprio destino. Ed effettivamente,
l'impressione che si ha fin dal primo ascolto è che Gahan sia
perfettamente consapevole del proprio lavoro e della direzione
presa, tanto da asciugare la durata dell'album a beneficio della
qualità delle canzoni (solo nove, come dicevamo), a cui peraltro non manca, pur
nella loro diversità, un andamento estremamente omogeneo. Gli echi
DM si colgono subito (l'iniziale gospel di Shine fa pensare a certe
atmosfere di Songs Of Faith And Devotion; e c’è la voce, poi, che in fin
dei conti, è sempre quella), ma in sostanza il disco ha personalità, si
sviluppa su orchestrazioni avvolgenti (la stupenda Lately), si perde in
atmosfere bluesy di malinconica introspezione (You Owe Me) e si
abbandona a piani sequenza su soundscapes altamente evocativi (My Sun e
One Thing). C'è spazio anche per due episodi più
strutturati (Tempted, dai sentori post rock, e il singolo All Of This And
Nothing) che dimostrano tutto il mestiere e l'eleganza, anche formale, di cui è
capace Gahan. A cui, di fronte a una scaletta senza cedimenti, perdoniamo
anche il numero ridotto di fantasmi presenti e il mood più rilassato. Un po’ di
tormento in più e, forse, anche qualche sbavatura, avrebbero trasformato un
disco ampiamente riuscito in un vero e proprio gioiello.
VOTO:
7,5
Blackswan, giovedì 26/11/2015
3 commenti:
Bella prova. Disco spesso in rotazione sulla teiera nelle ultime settimane.
Disco pallosissimo.
Ero quindi sicuro che ti sarebbe piaciuto. ;)
@ Lucien: concordo. Un pò di patina in meno, e sarebbe stato un disco perfetto.
@ Marco: a proposito di dischi noiosi: ti ricordo che sei riuscito a incensare una vaccata come il disco dei Blur :))
Posta un commento