5) CHRIS STAPLETON - TRAVELLER
...Non
si tratta però di un album che si sviluppa in modo uniforme: la scrittura
di Stapleton è volubile, molto legata alla tradizione country, ma capace
anche di sconfinare nel southern (Might As Well Get Stoned), di graffiare
col rock (Parachute), di corteggiare il soul nella superba rilettura di
Tennesse Whiskey, già portata al successo da George Jones. Per più di un'ora,
si susseguono tutte quelle suggestioni che chi sogna l'America a occhi aperti
ben conosce. Si viaggia in libertà, capelli al vento, su una decapottabile
in fuga su qualche statale circondata dal nulla (la title track); o si
sorseggia una birra ghiacciata, seduti in veranda, al tramonto, innanzi a una
distesa di grano (l'evocativa Daddy Doesn't Pray Anymore). E' l'America
più vera, quella che guarda alle radici, che ci stringe la gola con sconfinate
malinconie, che ci gonfia il petto di epica e ruvidi sentimenti, che
ci riscalda il cuore con la fiamma di un bourbon tracannato in un sorso
(Whiskey And You). Un disco di emozioni, prima che di grande musica, un
itinerario attraverso gli States, che suggerisce il ricordo a chi
quella terra già la conosce, ma che farà sognare anche quelli che preferiscono
viaggiare comodamente seduti sul divano di casa.
4) BILL FAY – WHO IS THE SENDER?
...Se Life Is People si
muoveva ancora entro territori musicali più contigui (ma senza esagerare) a una
formula canzone prossima al folk – blues di ispirazione americana (la presenza
di Jeff Tweedy non era un caso), questo nuovo lavoro si fa decisamente più
straniante, dribbla ogni possibile coordinata di riferimento, pone al centro
del modulo espressivo il pianoforte e gli archi, sbriciola la consuetudine in
un impasto sonoro che lo stesso Fay definisce alternative gospel, tende
all’assoluto accostando epica delle emozioni e spiritualità (laica). In tal
senso, l’iniziale The Geese Are Flying Westward può essere utilizzata come
chiave di lettura di tutto il disco: un ascolto a testa in su, compresi nel
raccoglimento della nostra malinconica finitezza, a cercare nel cielo il volo
di un uccello che ci doni un pensiero di eternità e ci liberi dalle catene del
nostro destino. La prima di un filotto di canzoni che si muovono sul confine
fra estasi e tormento, su quel fragile equilibrio tra speranza e disillusione
che anima le nostre vite, inducendoci a lacrime di consapevolezza e a brevi
istanti in cui ci sentiamo leggeri e parte del tutto, natura nella natura, sole
nel sole (Underneath The Sun). Fra le note di Who Is The Sender? emergono echi
della miglior musica ascoltata in questi quarant’anni in cui Fay ci ha lasciati
in attesa: c’è il Peter Gabriel tormentato di Here Comes The Flood e Family
Snapshot (la già citata Underneath The Sun), ci sono quei soundscapes
scorbutici che identificavano il songwriting di Vic Chesnutt (il sottofondo
noise nella coda della visionaria How Little?) e percepiamo una tendenza al
crescendo minimalista (solo apparentemente una contraddizione in termini) che
evoca gli scozzesi Blue Nile. Trattasi tuttavia di mere speculazioni, un
tentativo di spiegare una musica che ha ben poco a vedere con le parole (già
fin troppe, le mie) e con le nostre abitudini sonore, ma vive semmai dentro di
noi come un sentimento, in quel preciso punto fra cuore e cervello, ove nasce
la brama di bellezza. Fragile e potente, colta e popolare al contempo, la
scrittura di Bill Fay, centellinata nei decenni, finisce per svuotarci (come
già fece in passato) di tante fallaci convinzioni, imponendoci un livello
d’ascolto che è un armonioso e totalizzante insieme di struggimento, libertà,
partecipazione, aspirazione, misticismo e poesia.
3) THE APARTMENTS – NO SONG, NO SPELL, NO MADRIGAL
...Otto canzoni che non sono
plumbee e contrite come ci sarebbe potuto aspettare, ma che nemmeno celebrano
con enfasi una rinascita. No Song, No Spell, No Madrigal ha invece il passo di
un uomo che torna a camminare sulle proprie gambe, ad attraversare quei
boulevard parigini che erano i luoghi di una giovinezza ormai lontana. C’è
grazia, e misura, e una nota sottostante di nostalgia, che nasce da un incanto
perduto, da una passione non obliata, ma solo stemperata dall’età adulta. La
tensione non è mai invasiva, non viene imprigionata dallo struggimento. C’è
semmai uno sguardo che si scioglie in un sorriso triste, quello sguardo
affettuoso e consapevole con cui la maturità si guarda dietro le spalle,
ricordando i giorni andati, con pacatezza. Non ci sono lacrime in No Song, No
Spell, No Madrigal, ma un’eleganza espressiva che rende sostanziale la
perfezione della forma, con la consapevolezza che per raccontare il dolore,
bisogna soprattutto saperlo scrivere bene. Delle otto canzoni che compongono la
scaletta non ve n’è una, mi pare, che non sia decisiva, che non sappia
raccontarci una storia, che non finisca per trovare riparo nei nostri cuori. Le
poche note di piano che innescano il crescendo di Twenty One, la marmellata
amara dal retrogusto eighties di Black Ribbons, il pulsare romantico della
title track, la consanguineità ai Blue Nile di Paul Buchanan della straordinaria
Looking For Another Town sono alcune delle cose più emozionanti ascoltate
quest’anno.
2) SUFJAN STEVENS - CARRIE & LOWELL
...Se
prima l'idea era quella di ricerca e movimento, oggi Stevens punta a
un'affabulante stasi. Eppure, la bellezza di Carrie & Lowell non si coglie
immediatamente, occorre scartare con accuratezza la confezione per gioire del
regalo che cela. Undici ballate folk pop, coerentemente lo-fi, indipendenti
nell'accezione più nobile del termine, quella cioè che richiama le
atmosfere del Sundance Film Festival, fragili nell'impianto strumentale ma
al contempo fameliche di emozioni; undici canzoni che nascondono la
loro bellezza dietro un'omogeneità sonora ovattante, che piano piano si
sgretola, facendo emergere personalità melodiche ben distinte fra
loro. Come il tepore della primavera schiude la fredda terra in un rinnovato
afflato vitale, permettendo ai fiori di sbocciare, così il nostro paziente
ascolto disvela lo stordente susseguirsi di emozioni di cui Carrie
& Lowell è pregno. Sentimenti di afflizione, tenerezza, affetto,
rammarico e nostalgia sono illuminati da una luce tenue ma persistente,
come fossero acquarelli i cui colori vengano esaltati da un tratto
deciso, intento a contenere più che a sfumare. Ispirato dalla morte della madre
(Carrie), avvenuta nel 2012, e dedicato al rapporto di amicizia col marito
di lei nonchè suo padrino (Lowell), Carrie & Lowell inanella alcune
delle migliori canzoni scritte da Sufjan nel corso della sua carriera,
alcune così pure e cristalline da farci dimenticare tutto ciò che è stato
prima, come se l'artista di origini persiane non avesse più un passato
artistico, e fosse solo qui, ora, colto per sempre nell'attimo. Death With
Dignity, Should Have Know Better, Drawn To The Blood, Fourth Of July, Blue
Bucket Of Gold sono così clamorosamente belle da lasciarci senza fiato, privati
di relativizzazioni, in balia dell'assoluto: canzoni leggere come foglie
secche sospinte nel vuoto dal soffio del vento, frementi di vita come ondivaghe
spighe di grano al tatto della mano, incombenti come un dolore
risaputo e costante dell'anima. Emozioni pure, che trascendono l'arte.
1) ALGIERS – ALGIERS
...Da Atlanta, Georgia, tre
ragazzi, il cantante Franklin James Fisher, il bassista Ryan Mahan e il
chitarrista Lee Tesche, giungono a noi con una ventata di incredibile
freschezza e un disco che, è proprio il caso di dirlo, rappresenta un unicum
nel panorama odierno. Gli elementi che confluiscono in Algiers sono noti:
gospel e blues, e poi industrial, post punk, goth rock, noise rock.
L’innovazione sta, però, nell’aver pensato di far convivere la grande
tradizione afroamericana con suoni lontanissimi per collocazione geografica e
dimensione temporale. Il risultato è spiazzante, emozionante e, ne converrete,
disturbante: come ascoltare le canzoni della grande Mahalia Jackson suonate
dagli Einsturzende Neubauten nella sala d’attesa dell’inferno. Il gospel degli
Algiers perde ogni connotazione religiosa e ne assume semmai una politica (il gruppo
è apertamente e dichiaratamente marxista); e soprattutto sembra rappresentare
un’umanità di replicanti in lugubre viaggio verso l’eterna dimora. Ecco,
allora, che l’iniziale Remains suona esattamente come il passo dolente di un
gruppo di schiavi destinati non ai campi di lavoro ma alle fiamme dell’inferno,
mentre Blood è un piano sequenza sulle fucine dell’Ade, catena di montaggio
della dannazione eterna. E anche quando rientrano in un alveo più convenzionale
(Games), gli Algiers creano una ballata spettrale di sangue, catene e dolore
che non lascia scampo. Non c’è una sola canzone in questo disco, che non sia
decisiva e al contempo inquietante, un solo minuto che scorra inutile. Algiers
ci prende con forza, stupra le nostre consuete capacità di ascolto, imponendoci
un’attenzione uditiva e immaginifica che pensavamo aver perso per sempre. New
Orleans e Berlino, chitarre lancinanti, campionamenti, sintetizzatori,
spirituals, elettronica, industrial noise: se non è innovazione questa, ditemi
voi cosa lo è.
Blackswan, sabato 02/01/2016
7 commenti:
Perfetto, ho unito i brani della classifica precedente a questa degli album e mi sono fatto una bella playlist su youtube.
Ingordigia musicale. ;)
Liste di fine anno, molti le ritengono sciocche ed inutili esibizioni del gusto personale, a me invece, son sempre piaciute proprio per questo. Fanno incazzare quando non ritrovi i titoli che ti hanno reso più sopportabile l’anno passato e fanno piacere quando viceversa li ritrovi messi lì in bella copia, per modo di dire, certificati Nel primo caso ci si sente fuori dal mondo (Lista Pitchfork 10 su 100, lista Sentireascoltare 3 su 50, con Mucchio e Rumore non è andata molto meglio), nel secondo caso invece ci si sente a casa. I dischi di Courtney Barnett (meravigliosa questa ragazza!) , Sonics (meravigliosi questi ragazzi ), London Souls, Yawpers, Anderson East, Clutch e, potrei continuare, finalmente tutti insieme nella stessa lista. Dischi belli, bellissimi di questo 2015 fecondissimo. Finalmente qualcuno che, controcorrente, se ne strafotte di pop sintetico, elettronica a manetta e hip hop. Algiers e Sufjian Stevens che anche voi avete messo in cima alla lista a me non fanno impazzire, però ci possono stare. Io avrei messo qualcuno tra Rocket from the Tombs, Jon Spencer, King Gizzard & The Lizard Wizard, Nikki Hill, Leon Bridges, Wanton Bishops o chessò, il grande Paul Weller… ma va bene così, parliamo la stessa lingua. Lessico condivisibile, questo è ciò di cui hanno bisogno gli appassionati come me e penso tanti altri che non ne possono più di sciacquette scosciate, delinquenti comuni rimandati alle medie e sperimentatori folli. Grazie per Anderson East e parecchi altri che ho incontrato per la prima volta sul vostro spazio. Complimenti, a presto.
Mi aspettavo che avresti messo Sufjan Stevens al primo posto e invece no. Sorpresa!
Il disco degli Algiers non mi aveva colpito particolarmente quando era uscito, ma andrò a riascoltarlo...
algiers??? ma chi superxxazzolinacomesefosseantani sono questi??? per me orrendi -
@ Salvatore: Siamo due ingordi, allora :))
@ Giorgio: Siamo perfettamente in linea. Preferisco anche io la buona musica alla musica che fa solo curriculum. I buoni dischi possono essere anche molto semplici e diretti e privi di quell'appeal alternative che ormai sembra essere l'unico senso al tutto.E' stato un anno di ottime uscite e purtroppo qualcosa è rimasto fuori e altro a me è parso migliore di tanti altri dischi incensatissimi, che non mi hanno lasciato un brivido che sia uno. Grandi dischi anche quelli da te citati. Forse, e lo dico da welleriano della prima ora, Saturns Pattern non mi sembra il suo disco più riuscito. Detto questo, grazie dei complimenti e un augurio di un 2016 ricchissimo di ottimi ascolti.:)
@ Marco: Sufjan ha fatto un grande disco, ma secondo me gli Algiers hanno creato un suono, cosa non semplice in questi anni dove tutto si riclica senza troppa fantasia :)
@ Giuseppe: Per gli Algiers, vedi il commento poco sopra. Ma come vedi un grande disco come quello degli Apartments c'è. Un buon 2016 anche a te :)
Be', caro Nick, a te devo due tesori, che hai piazzato al numero 1 e al numero 2... e un terzo tesoro (che io piazzo al numero 1): la tua amicizia. Grazie. Massi.
@ Massimiliano: Grazie, caro Massi. Ricambio con affetto :))
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