Seppur con colpevole
ritardo, voglio comunque raccontarvi uno dei dischi più interessanti usciti sul
finire dello scorso anno, un lavoro così intrigante e seducente che sarebbe
entrato di diritto nella mia personale top five del 2015. Perché Soundtrack To
A Ghost Story non è solo un disco di grandi canzoni, ma è, a tutti gli effetti,
anche una grande opera multimediale che, attraverso musica, immagini e
letteratura, getta uno sguardo profondo, evocativo e inquietante su uno dei
capitoli più dolorosi della storia americana, la Guerra di Secessione. Ma
andiamo con ordine. Gli Orphan Brigade (Nelson Hubbard, Ben Glover e Joshua
Britt) prendono il nome dall’appellativo dato, durante la guerra, a un
contingente di soldati del Kentucky (la First Kentucky Brigade), militante nelle
fila della Confederazione e comandati dal leggendario generale John C.
Breckinridge (su Wikipedia trovate un dettagliato resoconto della sua vita e
delle sue opere). Stimolati da un nome
tanto suggestivo, i tre musicisti hanno
iniziato una meticolosa raccolta di documenti, poesie, leggende e testimonianze relative alle imprese della brigata, con
l’intento poi di tradurli in testi e musicarli. Man mano però che il lavoro di
ricerca e composizione cresceva, aumentavano anche le idee che sono andate poi
ad arricchire il concept. In primo luogo, gli Orphan Brigade hanno scelto come
location per le registrazioni la Octagon Hall di Franklyn , che non è uno
studio ma una dimora museo, appartenuta a Andrew Jacskon Caldwell, proprietario
terriero, morto nel 1866. La leggenda vuole che Caldwell e la di lui moglie si
siano trasformati in fantasmi e ora infestino l’edificio. Ecco, dunque, la
genesi del titolo, ed ecco lo spunto per una nuova idea: trasformare questa
storia non solo in un disco, ma in un documentario che, inizialmente doveva
essere una sorta di making of dell’album, e poi, invece, è diventato qualcosa
di più importante (il film lo potete trovare e guardare QUI). Sotto il profilo musicale e dei contenuti,
dunque, Soundtrack To A Ghost Story è un’opera ambiziosa (e perfettamente
riuscita) che riesce a fondere, attraverso il fille rouge della scrittura, il
resoconto storico, le suggestioni orrorifiche nate dalla narrazione popolare, l’elemento
didascalico del docu-film, e soprattutto un intrigante concept musicale di
quattordici canzoni, in bilico tra rielaborazione filologica e modernità
espositiva.
Chi pensa al classico disco
di americana, rimarrà quindi un po’ spiazzato: perché è vero che folk, country,
gospel, irish music sono il cuore pulsante dell’opera, ma è altrettanto vero
che il disco è percorso da frementi scariche elettriche e da un mood gotico con
cui le radici vengono raccontate in modo sorprendente. I fantasmi si sentono
proprio tutti, e non mi riferisco solo all’alone di mistero che avvolge la
Octagon Hall. In questa musica, così dolorosamente espressiva, giungono a noi
il profumo del Sud e delle piantagioni, il rumore delle catene e la vita misera
degli schiavi, il furore e lo strepito della battaglia, le urla, il sangue e le
ferite, l’odore acre della polvere da sparo, l’illusione degli ideali, lo
sguardo nostalgico del soldato che pensa alla propria casa lontana. Poche note
trasognate di piano (Octagon Hall Prelude) introducono al racconto, che inizia
con Pale Horse, una canzone di vibrante intensità, che parla di rimorsi e di
rassegnazione e la cui melodia esplode in un ritornello di bellezza cristallina.
E’ folk, ma l’approccio progressive fa venire in mente i Punch Brothers.
Tradizione e modernità, Mark Twain e Philipp Meyer. Così, il gotico americano
di Troble My Heart (Oh Harriet) potrebbe essere frutto della penna di Nick Cave
o dei 16 Horsepower, che di pagine così ne hanno scritte a decine. Né era
facile rileggere l’ovvio con intelligenza: il gospel di Sweetheart, che inizia
nelle baracche degli schiavi e diviene poi corale su cui si innesta, bizzarra
ma perfettamente a suo agio, un’incredibile tromba dixieland, o il valzer in
acido di I’Ve Seen The Elephant, disarmante presa di coscienza sugli orrori
della guerra. Da citare anche la splendida performance vocale di Ben Glover nel
traditional Paddy’s Lamentation (tenete pronti i fazzoletti) e l’epicità di
scrittura che attraversa We Were Marching On Christmas Day, soldati che
marciano sotto la neve, la notte di Natale, nel cuore la paura e il ricordo di
un bacio sotto il vischio. Disco epico, dunque, e pregno di riferimenti storici
e letterari (ma qui c’è anche fremente vita, non solo arte), Soundtrack To A
Ghost Story supera abbondantemente i meri confini discografici, e ci consegna
invece un pezzo d’America da scoprire ascolto dopo ascolto, visione dopo
visione, lettura dopo lettura. Già, perché stranamente, l’edizione italiana
dell’album, curata da Appaloosa Records, contiene tutti i testi tradotti in
italiano e un’illuminante prefazione di Marshall Chapman. Un valore aggiunto
non da poco.
VOTO: 9
Blackswan, domenica 14/02/2016
2 commenti:
Perfetti per questo giorno colmo di pioggia e sentimento!
La pioggia c'è, i festeggiamenti per Al capone, anche. Mood Perfetto :)
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