La prolificità di Joe Bonamassa è un dato di fatto che
ha pochi eguali. Ogni anno, le uscite a suo nome, sia che si tratti di
dischi solitisti, dischi live, collaborazioni con Beth Hart, comparsate in lavori
altrui (il tributo dello scorso anno di Mahalia Barnes a Betty Davis)
o progetti paralleli (i disciolti Black Country Communion e gli attuali Rock
Candy Funk Party), ammontano come minimo a tre (nel 2016 due dischi
sono già usciti, un terzo, con Beth Hart, è previsto per fine anno).
A fronte di un così cospicuo numero di pubblicazioni, bisogna dire che il
chitarrista newyorkese ha sempre mantenuto, però, un livello qualitativo più
che discreto. Certo, a meno che non siate fans, non tutte queste uscite sono
imprescinbili; tuttavia, si può dire, senza timore di prendere un abbaglio,
che Bonamassa non è mai sceso al livello di raschio del barile. Prova ne
è Blues Of Desperation, dodicesimo album in studio, uscito a distanza di
due anni dal precedente Different Shades Of Blues (2014), che si presenta come uno dei migliori
capitoli della sua discografia. Registrato a Nashville, prodotto dal fido Kevin Shirley,
questo nuovo full lenght suona potente più che mai, grazie a un wall of sound a
cui contribuiscono i nuovi amplificatori Fender (accantonati per il momento i
Marshall), l'affiancamento di due batteristi in svariati brani (Anton Fig e
Greg Morrow), una sezione fiati e un terzetto di voci femminili, guidato da
Mahalia Barnes. Una resa, quindi, dai volumi pieni e dal suono grintosissimo,
in cui la componente rock tende a prevalere su quella blues in
moltissimi episodi in scaletta. Tanto che, almeno in alcuni casi, sembra di
ascoltare più il Bonamassa al servizio dei Black Country Communion che non
quello che ci aveva abituati a prove più vicine al blues tradizionale (da
ultimo, il live Muddy Wolf At Red Rocks). Parte This Train ed è tutto
chiaro: una bordata hard rock che fila come un diretto, spazzando via tutto
con potenza sferragliante (l'ascolto a tutto volume è di una resa impressionante).
Non sono da meno Mountain Climbing, altro brano molto hard, con un bel riff
alla Ac/Dc, e il ringhio della title track, che col blues, almeno
quello tradizionale, ha davvero poco a che vedere e gira più dalle parti
dei Led Zeppelin. Il blues affiora soprattutto nella parte finale del disco,
quando Bonamassa si avvicina a standard più classici (Livin' Easy e What I've
Known For A Very Long Time), oppure nella superba No Good Place For The Lonely,
che inizia bluesy e cadenzata, e poi si abbandona in una sbrigliata
seconda parte, in cui la chitarra di Bonamassa prende letteralmente
il volo con un assolo da urlo. C'è il tempo anche per la ballata
elettroacustica di Drive, il brano più morbido dell'intero lotto, e per You
Left Me Nothin' But The Bill And The Blues, un divertissement r'n'b, con il
chitarrista ancora in grande spolvero. Insomma, Blues Of Desperation è sempre,
più o meno, il solito disco di Bonamassa, quel disco che alterna ballate a
pezzi tirati e che, a volte, suona più blues, e altre, invece, più rock. Se non
amate il genere, tenetevene decisamente alla larga; se, invece, questa è
la musica che fa per voi, il livello di godimento è, come
sempre, altissimo.
PS: la versione deluxe del cd comprende un set
fotografico di circa sessanta pagine che immortala i pezzi migliori del Bona -
Seum, la collezione di chitarre di proprietà di Bonamassa. Spettacolo!
VOTO: 7
Blackswan, martedì 26/04/2016
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