La prima volta che ascoltai i
Pinback rimasi letteralmente ammaliato dall’inconfondibile stile chitarristico
di Rob Crow: una mirabile crasi tra Post Rock intellettualistico e sensatezza
Indie. Musica educatissima e insieme popolare, la forma canzone sempre
rispettata, pochi fronzoli virtuosistici e attenzione spasmodica all’aspetto
melodico. Una compiuta versione di quello che potrebbe essere il Pop contemporaneo.
Crow è, dunque, uno di quei rari musicisti che riescono ad affinare il gusto
dell’ascoltatore più premuroso coccolandolo nel contempo. Direi di più: è una
sorta di demiurgo del lessico Indie più evoluto e credibile. Puntuali i rimandi
al passato attraverso i quali riesce a racchiudere, in un'unica esperienza,
tutto un universo sonoro che va dall’Art-Rock dei King Crimson (periodo Discipline) al Math di Slint e Don
Caballero. Un continuo nutrimento: contaminazioni tra i generi e decine di band
e artisti che hanno fatto la storia recente del Rock, tirati in ballo con un
accordo o un accenno ritmico.
L’uscita del nuovo album arriva
dopo un periodo parecchio travagliato per il ragazzone di San Diego (dipendenza
dall’alcol, difficoltà economiche e propositi di abbandonare le scene), con
inevitabili ricadute sulla routine cui ci aveva abituato. Cinque dischi in
solitario a partire dal 1995 (Lesser & Rob Crow) intervallati da
altrettanti con la band che avevamo lasciato nel 2012 in gran forma con il bellissimo
Information Retrieved. Ora s’annuncia
anche se non ancora ufficialmente la fine dei Pinback e, con la nuova ragione
sociale Rob Crow’s Gloomy Place, l’opportunità di ripartire emendando
pubblicamente e artisticamente tutti i guai che lo hanno angustiato negli
ultimi quattro anni. Produzione affidata a Ben Moore degli Hot Snakes e vecchi
amici a supportarlo tra i quali Travis Nelson, già con lui negli Heavy
Vegetable (1994-2000), la primissima band di Rob Crow.
L’opening track Oh, the Sadmakers mette subito le cose
in chiaro e nonostante le premesse preoccupanti cui abbiamo accennato nulla è
cambiato. Anzi, ce n’è d’avanzo e Crow ci regala uno dei pezzi più belli della
sua intera produzione. Frenesia chitarristica che progressivamente accelera
fino ad incattivirsi sfiorando i confini del Doom più minaccioso. Subito dopo This Distance ci offre un assortimento
di delicatezze col sottofondo di un’orchestra d’archi! E’ un disco sorprendente You're Doomed. Be Nice., i cambi di
registro improvvisi non inficiano l’uniformità stilistica del progetto ed è
oltremodo gratificante ascoltarlo mentre ci fa ricordare vecchi amori che
credevamo appassiti o perlomeno lontani. Feelies, Joan Of Arc, Wheat, Karate e June
Of 44 le similar band che inevitabilmente tornano alla memoria. Tuttavia, nel
caso di Crow, l’operazione nostalgia è puramente funzionale per esprimere al
meglio le sue nevrosi, un presupposto che impreziosisce una restituzione
musicale di assoluta modernità. Esistesse un contraltare di modernità, anche
nei mezzi di diffusione, brani come Business
Interruptus, Quit Being Dicks
oppure la tagliente, distorta, travolgente Rest
Your Soul, diventerebbero dei veri tormentoni. Ma tant’è! Limitiamoci
quindi ad aprire la porta a Rob Crow, commesso viaggiatore che tiene in valigetta il
miglior campionario di Rock indipendente americano. Una sola avvertenza:
offriamogli dell’acqua o un caffè, con l’alcol ha dichiarato di averla fatta
finita!
Voto: 8.5
Porter Stout, venerdì 01/04/2016
2 commenti:
sto tipo mai sentito i nirvana in vita sua?
@ Giuseppe: ma che ci azzecca Rob Crow con i Nirvana? E' come accostare le cozze alla Nutella.
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