La prima parola che viene in mente per descrivere la
musica di Adia Victorie è rabbia. Una rabbia montata giorno dopo giorno per
tutti i ventinove anni di vita di questa ragazza del South Carolina: prima, ammansita
dalle centinaia di poesie scritte per temperare il dolore, e ora esplosa nelle
sue varie sfaccettature attraverso le canzoni che
compongono Beyond The Bloodhounds. "I don't
know nothing about Sothern bells, but i can tell you something about Southern
hell", canta Adia Victoria in Stuck In The South, e non ci sono parole
atte a spiegare meglio ciò che troverete in questo album d'esordio. L'inferno
della vita al Sud, dove il razzismo è ancora ben radicato nel tessuto sociale,
il divorzio dei genitori, la povertà, un'infanzia e una giovinezza passate
nell'abbraccio soffocante della Chiesa degli Avventisti del Settimo Giorno, la
religione praticata dai membri della sua famiglia. E poi la fuga, a cercare
fortuna, prima a New York, poi ad Atlanta, ed infine a Nashville, dove Adia
inizia a comporre canzoni, per musicare quelle poesie nelle quali, fin da
piccola, faceva confluire la propria sofferenza. C'è tutto questo in Beyond The
Bloodhounds, le cui canzoni sono legate fra loro da un sottile fille noir.
Perchè se è vero che Adia Victoria sfoggia un ecclettismo musicale che la porta
a cimentarsi in più generi, il mood dell'album, dalla prima all'ultima
canzone, è frutto di una visione della vita a dir poco crepuscolare. Porta
il broncio, Victoria, e in questo può ricordare Pj Harvey, soprattutto quando
il cipiglio si trasforma in ringhio, e il fuoco della rabbia,
che attende sotto le ceneri, finalmente divampa. Ma c'è anche una
predisposizione genetica al folk, che viene rimasticato da una ragazza che ha
la luna così tanto storta, che si potrebbe parlare di Victoria come
di una Pasty Cline in abiti punk. Fulminante fin dalle prime note,
con l'incipit a cappella di Lonely Avenue di Ray Charles, il disco procede
altalenante fra canzoni che, come dicevamo, possiedono tutte lo stesso
umore scontroso, ma stupiscono poi per una varietà interpretativa, che va
dal gothic garage di Dead Eyes al R&B introspettivo di Mortimer's Blues,
fino al blues elettrico di Head Rot, al country ombroso di Mexico Blues o alle
movenze sinistre dell'inquietante And The You Die. Un esordio, dunque, che
colpisce per la lucidità con cui questa ragazza dispiega il suo mondo interiore
e la sua dolorosa storia, mischiando le carte dei generi e tenendoci col fiato
sospeso fino all'ultima canzone. Cupo e vibrante.
VOTO: 7
Blackswan, martedì 24/05/2016
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