Che siano in gran forma Moreland
& Arbuckle lo si intuisce anche solo dallo scatto immortalato sulla
copertina di Promised Land Or Bust, traboccante
energia rosso fuoco che non faticherà a distinguersi sugli scaffali dopo tre
anni di attesa dal loro ultimo lavoro 7
Cities. Per l’occasione debuttano su Alligator Records, l’importante
etichetta discografica di Chicago già di Robert Cray, Luther Allison, Buddy Guy
e di altre decine tra i migliori bluesman contemporanei: una sorta di certificazione
dello status raggiunto dopo una gavetta durata più di dieci anni (Caney Valley Blues, l’esordio del 2005).
Da allora la band s’è allargata, completano la line-up Kendall Newby
(batterista e membro effettivo da alcuni anni) e in qualità di ospiti Mark
Foley al basso e Scott Williams alle tastiere. Lo stile tuttavia non è cambiato:
Boogie ossessivo, ritmico, ora nervoso, ora lento e tormentato. Buone
vibrazioni che grondano da ogni nota e che ci riportano alle migliori avventure
del Blues bianco: da Johnny Winter al grande e sfortunato Stevie Ray Vaughan e,
più recentemente, ai North Mississippi Allstars e ai Black Keys dei primi
lavori. Produce il collaudato Matt Bayles già dietro al mixer di 7 Cities e di band quali Mastodon, Isis,
Cursive, Minus The Bear e Screaming Females.
C’è tanta bella roba
dentro Promised Land Or Bust: Delta Blues
e Southern Rock, Garage Rock e ruvidezze Hard, i virtuosismi chitarristici di
Aaron Moreland (slide come piovesse) e l’incredibile tecnica di Dustin Arbuckle
all’armonica (e anche alla voce). Brani al fulmicotone come Mean And Devil e ballate emozionanti
come Mount Comfort, le prelibatezze
acustiche di Waco Avenue che potrebbero
provenire dal repertorio dell’indimenticato Chris Whitley e il blues più
tradizionale del brano che apre l’album, Take Me With You (When
You Go). Ben cinque le cover, dalle classiche I’m A King Bee di Slim Harpo e Woman Down In Arkansas di Lee McBee (fenomenale armonicista del
Missouri scomparso nel 2014), ad altre composte da amici di lunga data come Hanna di Michael S. Hosty e Long Did I Hide It e Why’d She Have To Go (And Let Me Down)? di
Ryan Taylor (leader della band roots rock The Rounders).
Mettiamo, quindi, da
parte i pregiudizi che vorrebbero dischi come questo convogliati presso qualche
logica marginale (cioè, è la solita roba), specie da coloro che, una volta
sentita la “band of the week” alle prese con Leadbelly o Son House, rimangono
folgorati sulle strade impolverate del Blues per poi dimenticarsene la mattina
dopo, imbottigliati nel traffico delle tangenziali. A questo servono dischi
come Promised Land Or Bust: a
ricordarci che la tradizione non è un guinzaglio opprimente che ci lega al
passato, ma la salvaguardia di una bellezza raggiunta a cui non ha alcun senso
rinunciare in nome di qualsivoglia e presunta modernità. Nient’altro da
aggiungere, disco magnifico consigliato a tutti coloro che non amano i
guinzagli.
Voto: 7,5
Porter Stout, giovedì 19/05/2016
4 commenti:
e' tra le "uscite recenti" che mi sta consigliando Spotify nell'ultima settimana, ora che ho letto la tua recensione lo ascolterò anche più volentieri!
@ Michele: l'amico Porter Stout ci ha regalato belle emozioni :)
Gran disco. Io li ho visti dal vivo in Sardegna, hanno davvero un bell'impatto, su spotify ormai li ascolto regolarmente. Per me allo stesso livello dei Black Keys o meglio per alcuni versi.
Ciao Gian Luca, quella sera c'ero anch'io. Grande band, grande concerto!
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