Purtroppo tocca ripeterci, ma è praticamente
inevitabile quando di mezzo c'è la produzione di Dave Cobb. Il Re Mida del
suono Americana non sbaglia un colpo e oggi è probabilmente il produttore più
richiesto sul mercato, avendo in pochi anni messo mano a un filotto di dischi
favolosi. Ha portato sulla cresta dell'onda Sturgill Simpson e Chris Stapleton,
ha trasformato i Rival Sons in una band di prima grandezza, e ha rivitalizzato
le carriere di Jason Isbell e, da ultimo, di Mary Chapin Carpenter. Adesso ci
riprova con Bonnie Bishop, nome di spicco del panorama country texano e
vincitrice di un Grammy Award nel 2013 per la canzone Not Cause I Wanted You,
portata al successo da Bonnie Raitt. La Bishop, a seguito di gravi problemi di
depressione e di continui attacchi di panico, che le pregiudicavano la
possibilità di suonare in pubblico, dopo aver pubblicato Free (full lenght
risalente al 2012), aveva lasciato Nashville, era tornata in Texas e aveva
mollato lo star system. Salvo, poi, ripensarci, convinta proprio da Dave Cobb
che, ritrovatosi per le mani alcuni demos della songwriter di Houston, non solo
è riuscito a farla tornare in sella, ma l'ha convinta anche a dare una
connotazione maggiormente soul alle sue canzoni. Il risultato della
collaborazione è questo splendido Ain't Who I Was, sesto album in
carriera, definito dalla stessa Bishop una sorta di rinascita,
artistica ma non solo. Cobb ha fatto davvero un mezzo miracolo,
restituendo agli ascoltatori un'artista che, nonostante le difficoltà
passate, vive oggi una seconda giovinezza ed é pronta per il grande salto. Non
c'è una virgola, in Ain't Who I Was, infatti, che suoni fuori posto, a
partire da una scrittura ispirata e sincera, in grado di donarci emozioni
dalla prima all'ultima delle dieci canzoni in scaletta. Cobb, da parte sua, ci
mette un grandissimo lavoro di produzione, esaltando la grande anima soul
del disco e delineando un suono caldo, avvolgente e decisamente vintage,
che, grazie al cesello del missaggio, si coglie in tutte le sue sfumature.
Ascoltare la voce della Bishop, una via di mezzo fra Susan Tedeschi e Bonnie
Raitt, è come passare una mano sul velluto; il resto ce lo mettono un gruppo di
sessionisti nashvilliani da paura, a partire dall'irsuto Leroy Powell alla
chitarra elettrica e da Jimmy Wallace al pianoforte, Hammond e Mellotron. Basta
ascoltare l'iniziale Mercy, un gospel tinteggiato di swamp rock, per capire il
livello di queste composizioni: c'è passione, vulnerabilità, calore, un'anima
che trabocca soul, una band in stato di grazia. Ed è solo l'inizio: impossibile
non essere rapiti dai ritornelli irresistibili di Be With You (geniale il
tappeto di Mellotron sottostante), di Broken e di Looking For You, dal midtempo
in stile Motown anni '70 di Too Late, dall'arrembante spiritual della
tradizionale Done Died e dalla rivisitazione soul blues della (già citata)
Not Cause I Wanted You, forse anche migliore della celebrata versione di Bonnie
Raitt. Insomma, alcune delle più belle canzoni di americana di questo 2016 le
trovate in Ain't Who I Was, grande ritorno per Bonnie Bishop, ennesimo centro
colpito da quel geniaccio di Dave Cobb.
VOTO: 8
Blackswan, lunedì 06/06/2016
Nessun commento:
Posta un commento