Riceviamo dalla nostra freelance Cleopatra e
integralmente pubblichiamo
La comunicazione politica è cambiata. Nell'ultimo
ventennio si manifesta attraverso il linguaggio e i simboli della pubblicità.
Berlusconi con il memorabile "contratto con gli italiani" ne è la
prova più evidente. Sono passati più di vent'anni da quando Silvio da Arcore
scese in campo per bere "l'amaro calice" e da allora, via via, si è
consolidato il concetto che il leader di un partito assurga a un'icona
pubblicitaria in grado di proiettare un'immagine, uno slogan che faccia presa
sui più.
I politici di oggi sono degli autentici animali da palcoscenico,
star del piccolo schermo e soprattutto dei social network. Dici mediatico e per
associazione di idee pensi subito al premier Renzi. Sulle orme di papà
Silvietto, l'alunno Matteo ha decisamente superato il maestro. E, aggiungo, a
pieni voti. Ma non è il solo. Mediaticamente parlando, personaggi come Salvini
sono nati e cresciuti a pane e slogan ( vi ricordate le felpe? ). Pensando alla
campagna elettorale per le amministrative che si è appena conclusa, alla solita
autoreferenzialità di questo o di quel candidato e alla trita pantomima anti
tasse o pro olimpiadi, si è aggiunto l'intento di volere stupire a tutti i
costi. L'imperativo categorico è offrire un'immagine di sè che buchi il video
con effetti speciali.
Al pubblico non interessa più solo sapere se il
politico tal dei tali sia in possesso delle credenziali adeguate per ricoprire
il ruolo per cui si è candidato. Conta la narrazione e come la vendi. Il
programma politico viene da sè. Nell'era di Facebook e di Twitter, si ricorre a
stratagemmi di ogni tipo pur di catalizzare consensi. Al mercato, distribuendo
volantini come Matteo Orfini o anche telefonando, se è necessario. Un noto spot
diceva che una telefonata allunga la vita. Facendo tesoro dello slogan di
Telecom, la Fatina Boschi in piena sintonia con le regole del mercato, per
scacciare l'incubo Virginia Raggi, si attacca alla cornetta per sostenere il
candidato sindaco a Roma, Roberto Giachetti."Ciao, sono Maria Elena",
cinguetta con voce flautata agli elettori romani per convincerli a votare al
ballottaggio. A Napoli la volata finale per i ballottaggi si è svolta tra balli
e canti. Uno scatenato Luigi De Magistris, da vero performer, salta e balla con
Clementino sul palco con una grinta da fare invidia a Mick Jagger nel Counting
Tour per i 50 anni di carriera. E tra una festa e l'altra, ti imbatti in una
Milano non più da bere dove il candidato sindaco Stefano Parisi, facendo il
verso a Umberto Smaila e alle sue notti smeralde, si scatena in discoteca
ballando sulle note dei Wham! e facendo trenini. Come un Tony Manero de
noantri. Provo indignazione di fronte a tanta sfrontatezza, mentre c'è gente
che pare entusiasmarsi. Se buona parte degli italiani si lascia ancora sedurre
dai venditori di fumo, significa che il fascino della mediocrità continuerà a
mietere consensi.
P.S. I ballottaggi hanno evidenziato una crepa nella
narrazione renziana. Forse per Matteone il tempo delle mele è finito.
Cleopatra, lunedì 20/06/2016
3 commenti:
Ma poi quali sono le credenziali per ricoprire un ruolo politico?
@ Ezzelino: la fedina penale sporca. :)
Cazzo è vero, come ho fatto a non arrivarci?
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