Non è un caso che alcuni dei migliori dischi di Americana degli ultimi
anni siano stati prodotti da Dave Cobb. Traveller di Chris Stapleton,
Southeastern di Jason Isbel, Metamodern Sounds in Country Music di Sturgill
Simpson sono solo alcuni episodi, forse i più sorprendenti, del tocco magico
del produttore originario di Savannah. Leggere, quindi, il suo nome fra i
crediti del nuovo full lenght di Mary Chapin Carpenter è sicuramente una
certificazione di qualità. Non che la Carpenter, a dire il
vero, abbia particolarmente bisogno di avere le spalle coperte:
cinque Grammy Award vinti (di cui, quattro, consecutivamente), una decina di
singoli piazzati nella top ten delle classifiche country e milioni di copie
di album venduti in tutto il mondo (solo Come On Come On del 1992 si portò
a casa ben quattro dischi di platino) sono i numeri di un'artista capace di
tenere saldamente in mano la barra del timone della propria carriera. Tuttavia,
era da qualche anno che non usciva un suo disco di canzoni originali
(precisamente dallo sbiadito Ashes And Roses del 2012) e l'ultima
prova, l'orchestrale greatest hits, Songs From The Movie (2014), deponeva
a favore di un momento di appannamento creativo, forse acuito anche
dall'ondivaga depressione che da anni affligge la cinquantottenne cantautrice
del New Jersey. The Things That We Are Made Of arriva, invece, giusto
in tempo per fugare ogni dubbio in proposito. La Carpenter, infatti,
sembra aver ritrovato l'ottima vena compositiva di Between Here And Gone
(2004), una vena che Cobb riesce ad assecondare con la consueta
sapienza, senza inventarsi troppi giochi di prestigio, ma
semplicemente catturandone tutta la passione e la vulnerabilità in undici
emozionanti canzoni. Cobb aggiunge qualcosa solo dove necessario (il
pianoforte nella splendida Deep Deep Down Heart) e semmai, qui e
là, lima con cura artigianale. Così al centro della scena c'è solo la
Carpenter, la sua voce dolce e al contempo autorevole, il tocco preciso della
sua chitarra acustica, i suoi versi, delicati e sofferti, che
raccontano la vita, nella gioia, nel dolore e nella perdita. Canzoni
semplici e dirette, il cui mood malinconico si perde fra le trame di un folk
fluido ed elegante, in cui, anche nei momenti all'apparenza più solari (il
singolo radiofonico Map Of My Heart), un lieve scarto verso il basso, un
improvviso accordo in minore, riesce sempre a illanguidirci l'anima. C'è
una tale grazia in queste canzoni, che alla fine il mestiere, la tecnica e la
raffinata veste formale passano in secondo piano. Merito di Cobb, certo,
ma merito soprattutto della Carpenter, che torna a noi con un disco intimo e
meditato, che forse parla un linguaggio noto, ma che è ancora capace di
toccarci il cuore con la fragile poesia dei sentimenti.
VOTO: 7
Blackswan, sabato 18/06/2016
Nessun commento:
Posta un commento