Quinto capitolo nella
discografia dello “strillone” del Massachusetts, My Way Home segna l’esordio per l’indipendente Yep Roc dopo le
esperienze non esaltanti con le major Capitol (Come And Get It! del 2010) e Warner Bros (Nights Like This del 2014). Ottime prove pensate oltremodo per agganciare
nuove fette di pubblico e cavalcare la nuova ondata Soul e R’n’B capitanata da
personaggi oramai affermati come Gary Clark Jr., Curtis Harding e Leon Bridges.
Non è andata come previsto, il n. 36 nelle classifiche Billboard di genere e la
buona accoglienza da parte della critica non sono bastate ad evitare la
rescissione del contratto. Reed, tuttavia, non sembra oggi curarsene più di
tanto e l’attuale sodalizio con l’etichetta della Carolina del nord (in
catalogo tra gli altri Steve Wynn, Grant Lee-Philips e Chuck Prophet) gli porta
in dono una dimensione più adeguata, senza l’assillo degli esiti commerciali,
per scavare ancora più in profondità nella tradizione musicale americana e,
nello specifico, alle origini del suono delle comunità religiose di colore: Gospel,
Funk, Soul e R’n’B.
Reed lo fa mettendosi
in gioco in prima persona, registrando in presa diretta e in analogico negli
studi newyorkesi dell’amico Loren Humphrey (uno specialista nel riprodurre
suoni ultra-vintage) e, riproponendo formule musicali essenziali (grezzo Soul
Garage) che caratterizzavano i suoi primi album (Sings "Walkin' and
Talkin' for My Baby" and Other Smash Hits! del 2005 e Roll with You
del 2008) e tematiche religiose mandate a memoria all’inizio del suo percorso
artistico, quando a Chicago suonava l’organo nella chiesa cristiana di Mitty
Collier (l’indimenticabile interprete di I Had A Talk With My Man Last Night, uno
dei successi del 1965 per la Chess Records). Se infine aggiungiamo che Reed da
qualche anno svolge un lavoro di tutoraggio con ragazzi “a rischio” di un coro
Gospel a Brooklyn nell’ambito di un programma chiamato “Vangeli per
adolescenti” il quadro è completo: Eli “Paperboy” Reed è l’ultimo tra gli eroi
romantici in missione per conto di Dio!
Si inizia con la spettacolare
Hold Out: Reed e compagni (JB Flatt
organo, Michael Isvara Montgomery al basso, e Noah James Rubin alla batteria) sono
in uno stato di forma eccezionale, vogliono attirare l’attenzione fin da subito
e si fanno sentire forte e chiaro con un pezzo strillato e trascinante dal
volume sostenuto. L’uditorio è già con loro e “la funzione” può proseguire con Your Sins Will Find You Out struggente
Gospel Blues di straordinaria intensità emotiva e soprattutto con Cut Ya Down (cover di God's Gonna Cut You Down, traditional riportato in auge da Odetta nel 1960
e ripreso in seguito anche da Johnny Cash nel quinto volume delle sue American Recordings), che nella versione
di Reed diventa uno scintillante inno Soul al Signore urlato a squarciagola: "Si può lanciare la pietra e nascondere la
mano, lavorare nel buio contro il tuo
prossimo. Ma come è vero che Dio ha fatto il bianco e il nero, quel che è fatto
al buio sarà portato alla luce". Amen! Basterebbero questi primi tre brani
per promuovere a pieni voti My Way Home,
un album testardamente e orgogliosamente fuori dal tempo e dalle mode per un
omaggio (onestissimo) alla sacralità del Gospel e alla mitologia musicale
afroamericana del secondo dopoguerra. Tra le altre chicche, la title track,
sontuosa e ribollente ballata R’n’B, Eyes
On You in bilico tra Delta Blues e Country song, The Strangest Thing in puro stile Jackie Wilson e il Funk incalzante
di A Few More Days. Consigliato
vivamente anche ai mangiapreti più incalliti!
VOTO: 7.5
Porter Stout, venerdì 17/06/2016
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