Rick Brantley è un personaggio a dir poco anomalo. Di
lui, infatti, si parla pochissimo, nonostante le sue canzoni siano state
coverizzate da artisti del calibro di Meat Loaf e David Nail, e abbia suonato,
aprendone i concerti, con autentiche leggende della musica a stelle e strisce,
quali John Hiatt e Steve Earle; inoltre, la sua discografia, altalenante e
assai scarna, è composta da un solo full lenght e da un pugno di Ep, rilasciati
tutti col contagocce. Insomma, questo ragazzo vive ben lontano dallo star
system, se ne infischia delle luci della ribalta e del successo, e scrive e
suona con sincerità, solo nel momento in cui ne sente effettivamente il bisogno.
Nato e vissuto nella mecca del suono sudista, a Macon, Georgia, figlio di
un predicatore che lo ha cresciuto a gospel, sermoni infuocati e artisti
leggendari (The Allman Brothers Band, Blind Willie McTell, Otis Redding e altre
grandi band degli anni '70), Rick mastica fin da ragazzino parecchia musica e
inizia a comporre giovanissimo, sfruttando un piccolo studio di registrazione, che
il padre ha allestito in casa. Nel bagaglio di ispirazione di Brantley non
finiscono però solo i dischi del padre, ma anche passioni nate autonomamente:
Bruce Springsteen e Billy Joel, per iniziare, e poi Guy Clark e Townes Van
Zandt.
Lasciata Macon, Rick si trasferisce a Nashville e qui inizia la sua
avventura musicale improntata al più disinvolto understatement. Lo-Fi, uscito
l'anno scorso, testimonia, grazie a sei canzoni tutte bellissime, il grande
talento di Brantley, che ha elaborato le sue fonti d'ispirazione, dando
vita a uno stile proprio e riconoscibile, in cui confluiscono
strumenti acustici, chitarre e pianoforte, una voce rauca e profonda, un piglio
da crooner, il Boss, Steve Earle e Chip Taylor. Sei ballate suonate e
cantate con il cuore in mano, scarne ma ricche di malinconia e romanticismo,
eseguite in presa diretta, senza aggiunte successive. Da citare una
straordinaria cover di Try A Little Tenderness di Otis Redding (da brividi) e
la conclusiva Half Mile Hill, capace di spappolare il cuore anche agli
ascoltatori più ruvidi. Hurt People, singolo datato 2016, è poi l'ennesima
prova di una discografia claudicante, visto che non è dato sapere se si tratta
di un'uscita estemporanea o se invece sia l'anticipazione di un nuovo disco o
di un nuovo Ep. Ciò che conta è che si tratta di un'altra bella canzone:
springsteniana fino al midollo, con la voce calda di Rick in bilico fra
talking e cantato, perfetto interplay fra pianoforte e chitarre e
un ritornello da brividi. Dal momento che è impossibile, o quasi, riuscire
a trovare da noi i lavori di Brantley su cd, il consiglio è quello di fare
un salto su iTunes, dove riuscirete ad acquistare tutto. Ne vale la pena.
VOTO LO - FI Ep : 8
VOTO HURT PEOPLE (Single): 7
Blackswan, venerdì 15/07/2016
4 commenti:
will t. massey, docet. bello
@ Bartolo: Grande Massey! Effettivamente in certi brani c'è una certa somiglianza (A Summertime Graveyard?). Io trovo che Brantley abbia un'indole Springsteeniana e in alcuni brani mi ha ricordato anche Chip Taylor.
un mood tipico di quei cantautori che vivono le canzoni sulla propria pelle, romantici, e sognatori quanto basta, per restare per sempre nell'anonimato. un disco da dustyroad questo, ciao nick.
@ Bartolo: ciao a te, è sempre un piacere confrontarsi, mon ami.
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