Nella musica dei fratelli Seth e Scott Avett c'è una
linea di demarcazione fra roots e pop che è sottilissima. Ciò nonostante, i due
fratelloni di Concord sono sempre stati abili a mantenere il giusto equilibrio,
a trovare quella misura che non facesse suonare i loro dischi come una sorta di
tradimento della tradizione e riuscisse nel contempo a conquistarsi un
importante posto al sole nei riscontri di vendita. Otto dischi in studio e
quattro album live di ottima fattura, sono state le tappe di un percorso
artistico che, grazie anche al sodalizio con quella vecchia volpe di Rick
Rubin (produttore di tutti gli ultimi album) ha portato gli Avett Brothers a
essere considerate come una delle band più interessanti (ed economicamente
redditizie) dell'alternative country. Giunta al nono capitolo della saga,
la band si fa dirigere ancora una volta da Rubin e prova a fare un ulteriore
passo avanti sulla linea di demarcazione di cui dicevamo, arricchendo il
suono (ormai un marchio di fabbrica) con qualche (piccola) novità. Non c'è,
però, quella svolta radicale che qualcuno ha voluto intravvedere, e
True Sadness resta sostanzialmente un lavoro che non si discosta poi di molto
dai predecessori. Tuttavia, l'innesto di elementi elettronici (ad esempio, in
You Are Mine e Satan Pulls The Strings) prefigura una possibile evoluzione
verso un suono diverso, una sorta di ulteriore scarto rispetto alla
tradizione folk. Ma non mettetevi le mani nei capelli: non è una bestemmia in
chiesa e il bisogno di evolversi, oltre che circoscritto solo a qualche
episodio, è stato gestito con intelligenza. Così, tra molti brani perfettamente
in linea con il target Avett, ve ne sono altri, ad esempio, che fanno
uso di synth, drum machine e filtri per le voci. Alcuni sono azzeccati
(Satan Pulls The Strings), altri assolutamente fuori contesto e
pasticciati (la conclusiva May It Last è di una pompa
insopportabile). Ci sta. Il meglio, però, viene fuori quando i ragazzi fanno il
loro e tirano fuori il delizioso pop travestito di gospel di Ain't No Man e
ballate roots gonfie di malinconia come Mama I Don't Believe,
Smithsonian e la title track. True Sadness non raggiunge certo le vette di
The Carpenter e di I And Love And You, ma ci mostra comunque una band in salute
e un tentativo di rinnovamento, timido, ma indicativo, di cui sapremo qualcosa
di più al prossimo appuntamento.
VOTO: 6,5
Blackswan, mercoledì 06/07/2016
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