Dopo vent'anni di onorata carriera (il suo primo
album, Emotions On A Postcards vide la luce nel 1996), l'undicesimo disco di
Judith Owen ribadisce per l'ennesima volta tutto quello che di buono abbiamo
sempre pensato di questa cantautrice gallese, trapiantata però da tempo negli
Stati Uniti. Grande versatilità, un approccio umorale all'interpretazione, la
capacità di mettere qualità e impegno anche nei testi e una voce che non
passa inosservata, perché capace di vestirsi di molteplici sfumature, sono doti
che la Owen ha mantenuto intatte nel corso degli anni. Somebody's Child è
la conferma, dunque, di un'artista in salute, che continua a ricamare il suo
elegante cantautorato, che guarda agli anni '70 e a quella corrente
soggettivista, crepuscolare e agrodolce che faceva capo a musicisti quali James
Taylor (Mystery) e Carole King (la title track, ad esempio), ma è capace
anche di uno sguardo meno classico (il pop smaliziato di Send Me A Line
ricorda alcune cose di Regina Spektor) e di interessanti spunti jazz,
come nelle ottime We Give In e I Know Why The Sun Shines. Come
dicevano, i testi sono di uno standard superiore alla media, e la Owen spazia
dalla dimensione personale, come nel blues raffinato di That's Why I Love My
Baby, dedicata al marito Harry Shearer, o nel sofferto racconto di una storia
d'amore finita (la struggente No More Goodbyes), a temi sociali (la title
track, Somebody's Child, narra di una storia di povertà ed emarginazione) o
ambientali (Tell All Your Children). La morbida cover di More Than This dei
Roxy Music è la ciliegina sulla torta di un disco formalmente ineccepibile
(a fianco della cantautrice suonano i leggendari Leland Sklar al basso,
Russel Kunkel alla batteria e Waddy Wachtel alla chitarra) ma in grado
anche di toccare le corde del cuore, grazie a melodie spesso
riuscitissime e alla voce soulfull e suadente di una sempre pimpante
Judith Owen.
VOTO: 7
Blackswan, mercoledì 17/08/2016
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