La retromania per certo classic rock anni '70 sembra
davvero non aver fine e, anzi, ormai da qualche anno, questa
sorta di passatismo musicale, vive quella che potremmo definire la sua età
dell'oro, con un numero sempre maggiore di appassionati e nuove band che
si affacciano sulla scena con proposte più o meno valide. Il limite di questo
revival, che è poi il limite di tutti i revival, consiste nel riproporre un
suono che abbiamo già ascoltato milioni di volte in versione originale. Gli
ingredienti e il menù sono sempre, più o meno, gli stessi di quarant'anni fa e
la differenza, semmai, la fa il cuoco. Ci sono, allora, band da copia e
incolla, che si limitano a riproporre lo stesso piatto, senza aggiunte e
variazioni, e altre che invece di limitarsi al minimo sindacale, cercano di
rendere quel suono un po’ più fresco e intrigante. E' il caso, questo, degli
svedesi Blues Pills, che con Lady In Gold, arrivano alla seconda prova in
studio (ma c'è anche un live datato 2015), con l'intento di
raddoppiare il consenso di critica e pubblico raggiunto con l'esordio
(l'omonimo Blues Pills del 2014) e di entrare definitivamente nel
giro che conta davvero. In tal senso, Lady In Gold è un disco molto più
immediato, lineare e catchy del suo predecessore, rispetto al quale i
suoni si fanno molto meno psichedelici in favore, invece, di abbondanti
coloriture soul, r'n'b e pop. Forse i fans della prima ora
storceranno il naso, visto che questo secondo capitolo perde un
po’ di affabulazione, per intraprendere una strada più melodica, che favorirà
numerosi passaggi radiofonici. Tuttavia, l'ascolto è coinvolgente, le canzoni
sono confezionate con cura e la band, tanto in studio quanto dal vivo, dimostra
di avere un tiro pazzesco. Merito di Elin Larsson, la cui voce, spesso
paragonata impropriamente a quella di Janis Joplin, si arricchisce qui di
ulteriori sfumature soul, e di Dorian Sorriaux, che si dimostra chitarrista
preparato ed eclettico, forse uno dei migliori dell'ultima generazione. In
scaletta si alternano momenti intensi, come la ballata I Felt A Change, in cui
la performance vocale della Larsson è da pelle d'oca, altri decisamente più
leggeri e di presa immediata (Little Boy Preacher), altri ancora più
tirati e marchiati a fuoco dalla devozione del gruppo verso i seventies (Bad
Talkers). Lady In Gold è, dunque, un disco un po’ diverso da come ce lo saremmo
aspettati, ma non certo meno buono. Anzi, la band sembra aver raggiunto quel
livello di maturità indispensabile per il grande salto e probabilmente questa
nuova prova aprirà loro le porte del (meritato) successo internazionale. A
ottobre, in Italia.
VOTO: 7
Blackswan, giovedì 18/08/2016
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