La
bella copertina del nuovo album dei Baby Woodrose è di per sé programmatica. Il
pugno alzato simbolo del Potere Nero si staglia su uno sfondo stroboscopico ultra-colorato,
una time machine utile ad affratellare rabbia Black Panthers e la migliore
Psichedelia di Danimarca. Un connubio davvero singolare. Il titolo stampigliato
in basso toglie ogni ulteriore dubbio: Freedom,
proprio quella, la monumentale slave-song che Richie Havens urlò nel 1969 ai quattrocentomila
di Woodstock in difesa degli oppressi d’ogni dove, consegnando l’indimenticabile
live act alla storia del Rock e più in generale a quella iconografica del 20°
secolo. Ora, a distanza di quasi 50 anni, il brano ci viene riproposto dalla cult-band
di Copenhagen e, insieme a pezzi come 21st
Century Slave, Mind Control Machine
e Peace, va a comporre una scaletta
in larga parte contrassegnata da tematiche forti come la disparità sociale, il
controllo delle menti e il lavaggio del cervello da parte dei media. Comunque
la si voglia pensare sulla disanima che i Baby Woodrose fanno a proposito della
moderna schiavitù, Freedom rimane un gran bel disco che
suona benissimo. Solido, aspro, saturo di elettricità, Stoner e Garage/Psych,
tutte le componenti che hanno reso inimitabile il groove della band di Lorenzo
Woodrose sin dagli esordi quando, con Blows Your Mind! (2001) e sopratutto Money For Soul (2003), anticiparono la
rinascita del Rock Psichedelico in Europa (e non solo) fortemente ispirati dal
sound seminale di 13th Floor Elevators, Hawkwind e Monster Magnet.
Come
da consuetudine, anche questo nuovo album, viene rilasciato dall’eccellente Bad
Afro (difficile trovare un brutto disco nel loro catalogo) e arriva quattro
anni dopo Third Eye Surgery, lasso temporale
durante il quale Woodrose s’è visto addirittura assegnare un Danish Music Award
(il Grammy danese) per il sorprendente successo ottenuto dal suo progetto
laterale Spids Nøgenhat. Finita
la digressione torniamo a Freedom. Si
parte con il riff ipnotico e cadenzato di Reality,
la voce potente e ricca di pathos di Lorenzo fa il resto, come anche nel brano
che segue, la più morbida 21st Century Slave,
accattivante ed evocativa come poche. Open
Door è la canzone più immediata del lotto: tappeto ritmico sostenuto e
pulsante, refrain facile facile che potrebbe spopolare nelle heavy rotation più
Pop. Nessuna concessione radio friendly invece nell’impetuosa Mind Control Machine che, con il suo
incedere magnetico, ci inonda di buone vibrazioni Hard/Psych di derivazione
sixties. Il Folk di scuola Canterbury (alla lunga un po’ stucchevole) che
impregna Peace fin nelle viscere
introduce la title track, la Libertà
dei Baby Woodrose: Fuzz torrido, basso sostenutissimo e percussioni ossessive.
Eccoci servita la cover più abrasiva dell’anno! Si prosegue nell’ascolto con i
sussulti chitarristici di Red The Sign
Post e Mantra, l’apice
compositivo del disco, una ballata magica ed intensa irrorata da preziosismi
psichedelici e improvvisi slanci elettrici. Bellissima! Chiude il programma la
lunga e tediosetta Termination, unica
vera pecca di un disco poco meno che esemplare.
Se
pensate che il Rock debba avere a che fare con integrità artistica, indomito
attaccamento alle radici, energia contagiosa e, perché no, tecnica esecutiva, i
Baby Woodrose potrebbero diventare uno dei vostri gruppi preferiti.
Voto:
7,5
Porter Stout, venerdì 30/09/2016