Se è vero che
spesso le colpe dei padri ricadono sui figli, è inevitabile che la stessa cosa
possa accadere coi meriti. Il mondo, infatti, è pieno di figli che patiscono la
gloria paterna (o materna) e che vivono di luce riflessa, sotterrati quasi dal
confronto e dal ricordo di chi li ha preceduti. Succede nella vita di tutti i
giorni, succede in ogni ambito artistico e quindi, è inevitabile succeda anche
nello spietato mondo dello showbiz. Certo, un nome famoso alle spalle
inizialmente può anche essere un vantaggio, una sorta di passepartout che apre
porte e agevola contatti e conoscenze; ma, alla lunga, la parentela logora chi
ce l’ha, e c’è sempre un target ingombrante a cui puntare e con cui misurarsi.
Non dev’essere stato facile per Devon Allman, quindi, scrollarsi di dosso la
sua pesante eredità, visto che non solo è figlio del grande Gregg, leader
indiscusso della Allman Brothers Band (e sulla cresta dell'onda ormai da più di
quarant'anni), ma, avendo scelto come strumento principale la sei corde,
si ritrova fra i parenti stretti anche il compianto zio Duane, uno
fra i più funambolici chitarristi che la storia ricordi. In una situazione di
questo tipo, si ha sempre l'impressione che la propria identità artistica
viva di riflesso o all'ombra del passato glorioso del proprio parentado e
che qualunque cosa uno faccia, anche se di qualità, alla resa dei conti
finirà sempre per essere bollata come l'opera del figlio di..., con buona pace
della propria indipendenza creativa. Per non parlare poi delle male lingue,
sempre pronte a indicarti come un raccomandato, uno che non sarebbe arrivato da
nessuna parte senza una cospicua dose di nepotismo. Devon Allman, a dispetto
dell'ingombrante cognome, è invece un musicista che, senza aver disconosciuto
le proprie radici, è riuscito a crearsi, disco dopo disco, una ben delineata
personalità, e questo Ride Or Die, terzo album in solitaria, ne è una
incontrovertibile conferma. Il southern rock, da sempre respirato tra le mura
di casa e geneticamente connaturato al personaggio (Devon, tra l’altro,
annovera anche una militanza con la Royal Southern Brotherhood), è
presente ma è marginale, così come il rock blues, centrale nel precedente
Ragged & Dirty, è solo una delle componenti del nuovo disco.
Che, invece, è
vario, estremamente vario, e racchiude tutte le influenze che hanno
caratterizzato la crescita artistica di Devon, dal rock al blues,
dall’alternative anni ’90 fino al soul, i cui suoni sono forse quelli
maggiormente riconoscibili fra le canzoni in scaletta (non è un caso il
tatuaggio di Curtis Mayfield che Devon esibisce orgogliosamente sul bicipite
sinistro). Insomma, è un po’ come se il giovane Allman fosse entrato in sala di
registrazione, tenendo sotto braccio la sua collezione di dischi, quella musica
che ha amato da giovane, quei musicisti di cui teneva il poster in camera. Se
l'iniziale Say Your Prayers o Galaxies mostrano i muscoli di un rock
blues tradizionale, riletto, però, con intelligenza e modernità, il resto del
disco sfoggia, invece, il composito repertorio di idee di Devon, che travalica
gli steccati del dna, e ci regala una prova tanto eterogenea quanto solida.
Find Ourselves, ad esempio, è un pimpante rock soul dal sapore springsteeniano,
Lost esplora brillantemente il tema della ballata , utilizzando il pedale
talk-box, Shattered Times è un funky bollente, Watch What You Say è un
riuscitissimo patchwork fra chitarre acustiche ed elettriche, beat e rock
blues, ritmo e melodia. C’è, poi, lo swing pianistico di Hold Me, la dodici
corde nel mid tempo di Live From the Heart e l’omaggio a Curtis Mayfield in
Pleasure And Pain. Chiude il disco un’inaspettata cover, a dire il vero, non
particolarmente brillante, di A Night Like This dei Cure: Devon vuole rendere
onore a un mito di giovinezza, ma la canzone, troppo lontana dalle sue corde,
perde il senso di imminente tragedia che pervadeva l’originale, finendo per
suonare innocua e priva di mordente. A prescindere da questo passo falso, il
risultato finale è però più che buono. Ride Or Die si sviluppa attraverso una
scaletta varia e divertente, mentre la voce possente di Devon e la sua
chitarra, capace ormai di adattarsi a diversi registri, esprimono la maturità e
la forza espressiva di chi non deve più nulla a nessuno. A prescindere dal
cognome.
VOTO: 7
Blackswan, giovedì 22/09/2016
Nessun commento:
Posta un commento