Difficile raccontare in modo appropriato quanto è
grave nel nostro cuore il peso per la perdita di Dario Fo. La statura
dell’uomo e dell’intellettuale, e l’emotività del momento, ci
spingerebbero all’enfasi e all’utilizzo di paroloni altisonanti,
a sproloquiare su quel Nobel che fece tanto scalpore e su quella
passione per ogni forma d’arte che, da sempre, lo divorava, spingendolo
oltre. E finiremmo pure per scadere nella retorica, ricordando, umidi di
sentimento, che ora Dario potrà ricongiungersi
in cielo con la sua amata Franca, compagna di una vita. Meglio, allora,
non provarci nemmeno, che tanto, da oggi, tutti si riempiranno la bocca
di ricordi appassionati e contrizione, a partire da quelli che fino
all’altro giorno lo dileggiavano per le sue
posizioni politiche. Tuttavia, almeno una considerazione, quella che in
questo momento sentiamo più urgente, la vogliamo fare. Con Dario Fo,
infatti, non se ne va solo un artista a tutto tondo, bensì un uomo che
interpretava il suo ruolo di intellettuale con
umiltà e al servizio degli umili. Come fu per Pasolini, anche per Fo la
cultura non ha mai vestito abiti elitari o indossato paludamenti
accademici, ma si è rivolta con semplicità a tutti, veicolando contenuti
alti, certo, ma facendolo attraverso un linguaggio
che fosse comprensibile a chiunque. L’approccio farsesco, il recupero
della Commedia Dell’Arte, la satira di costume, il ruolo di giullare e
l’utilizzo dell’antico canovaccio, testimoniano di un artista che ha
sempre utilizzato l’humus, la terra, le radici
della nostra cultura come strumento per raccontare il paese e la
società. Una forma d’arte (apparentemente) povera, dunque, che in mano a
Fo diventava, però, il potente strumento per scardinare le coscienze,
una molotov di coriandoli e pernacchie con cui dileggiare
il potere e metterne alla berlina l’arroganza, un’idea di rivolta che
fioriva nel clamore ostentato della sghignazzata. Fo era l’intellettuale
che parlava agli umili con il linguaggio degli umili per farsi capire
dai potenti. Per questo era un personaggio
scomodo, mai troppo tollerato dall’intellighenzia culturale e politica
del paese, perché con uno sberleffo arrivava al cuore della gente,
laddove il ragionamento raffinato della cultura organica faticava a fare
centro. Ecco, al di là di ogni indubbio merito
artistico, su cui noi poco potremmo aggiungere, vogliamo soprattutto
sottolineare il vuoto incolmabile lasciato da chi ha sempre difeso gli
ultimi, restituendo dignità politica e culturale alle classi più
disagiate. Una scelta di barricata, da molti osteggiata
e infangata (la polemica sulla sua militanza nell’RSI), che Fo, però,
non ha mai tradito, continuando a schierarsi con coerenza, e fuori da
quella sinistra di cui fu simbolo, contro la protervia
dell’establishment e gli intrallazzi dei poteri forti. A 90 anni
lottava ancora per dare un futuro migliore al paese e a chi non ha, e
non ha mai avuto, voce. Per questo, soprattutto, ci mancherà.
Blackswan, giovedì 13/10/2016
3 commenti:
La tua analisi è perfetta, le sue commedie sono sempre attuali e significative.
Saluti a presto.
@ Cavaliere: Abbiamo perso una voce importante, un uomo che non ha mai smesso di spendersi per il proprio paese. Se ne stanno stanno andando tutti, gli intellettuali, quei pensatori capaci di scuotere le coscienze e tenerci a galla. La sensazione è che siamo un pò più soli e un pò più alla deriva.
"Una molotov di coriandoli e pernacchie" è una definizione perfetta.
Bisognerebbe cercare tutti di vivere un po' più leggeri e beffardi.
Che poi, leggeri per modo di dire.
A certa gente i suoi sberleffi facevano più male di una pallottola.
Di tutte le sue molte frasi riportate in questi giorni una mi ha colpito e mi è sembrata dolcissima.
Era quella dedicata a sua moglie già scomparsa, e più o meno diceva "Io sono ateo ma Franca la vedo tutti i giorni".
Siamo sicuramente un po' più soli.
Ma non alla deriva, perdio.
Con lo sberleffo ed i pugni ben chiusi alla deriva non ci si va.
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