Sono passati
ormai vent’anni dall’uscita di Sackloth’n’ Ashes, esordio datato 1996 dei 16
Horsepower, band con cui David Eugene Edwards si affacciò sulle scene
dell’alternative rock a stelle e strisce. Da quel disco, di acqua sotto i ponti
ne è passata tanta: la ragione sociale è mutata in Wovenhand, i dischi messi in
cantiere (tra full lenght in studio, live e raccolte) sono arrivati quasi a
venti e le fila degli adoratori del culto non hanno mai smesso di crescere. In
tutto questo tempo, DEE ha però tenuto fede a sé stesso e alla sua visione
musicale con granitica coerenza, modificando appena il suono con cui continua a
raccontare le storie di fantasmi che infestano la sua anima tormentata. Se
talvolta l’accento batte su un folk scarno, nervoso e gotico (il non
eccezionale Refractory Obdurate del 2014, per citare l’ultimo episodio in
ordine di tempo), in altre occasioni Edwards ha sposato sonorità decisamente
votate al rock, più rumorose, quindi, ma altrettanto inquiete e oscure. Star
Treatment, in tal senso, è praticamente il seguito di The Laughing Stalk, da
cui DEE mutua un approccio più heavy (Come Brave), lo sferragliare delle
chitarre e un inclinazione a stento trattenuta verso il noise (l’inquietante
Swaying Reed). Ciò che resta immutata consuetudine sono, invece, le dark waves
che attraversano quasi tutte le undici composizioni in scaletta. Edward, il suo
calesse e i suoi cavalli neri, si gettano a perdifiato nel buio della notte,
mentre, tutto intorno, si perde a vista d’occhio un ostile deserto che ricorda
la foresta dei Cure: gli spiriti dei morti si aggirano fra nebbie sospette ed
erbacce, il baluginare malevolo delle stelle incombe, il canto di guerra di un
Cherokee attraversa l'aria gelida, trafiggendo il costato. Polvere e blues,
zaffate di zolfo, Nick Cave e William Faulker, Landsdale e Mac Carthy. Star
Treatment è, dunque, l'ennesimo capitolo del grande romanzo gotico americano
narrato da Edwards: i grandi spazi al culmine della notte, terre desolate e
sordidi anfratti, i misteriosi riti sciamanici della cultura indiana,
l'invasato declamare di un allucinato predicatore, per cui la spiritualità è
solo pentimento e fiamme dell'inferno. Insomma, la musica dei Wovenhand non
cambia, ma suona sempre straordinariamente efficace.
VOTO: 7
Blackswan, sabato 27/09/2016
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