Quando si lascia una traccia indelebile nella storia
del Rock con un opera importante come Ruby
Vroom, capolavoro dei Soul Coughing del 1994 e di tutto il Post/Rock
americano, non è facile dar seguito a una carriera in cui ogni volta si
vorrebbe ripetere la stessa favola. Se poi quella band implode qualche anno
dopo, tra litigi per le royalties ed una evidente crisi creativa, il rischio di
vivere nel ricordo di una memorabile quanto breve stagione può diventare una
pericolosissima abitudine. Mike Doughty c’è cascato con tutte le scarpe alla
maniera, già vista centinaia di volte, delle rockstar in caduta libera: alcol
ed eroina. Un brutto film che andò di pari passo alle pessime recensioni che
accolsero gli ultimi lavori della band newyorchese. Nel 2000, dopo essersi dato
una bella ripulita, Doughty è tornato con Skittish
il primo album solistico. Da allora in poi ha onorato la second chance che gli è capitata in sorte, mettendone a segno
un’altra decina, tutti contrassegnati da una voce profonda e comunicativa e dal
sound riconoscibilissimo fin dagli esordi con i Soul Coughing. Quel Pop
sbilenco, con forti attitudini allo spoken word, contaminato da tutto un po’:
Electro Funk, Swing e Folk. The Heart
Watches While The Brain Burns prosegue nel rispetto di questa tradizione,
stavolta fa capolino anche il Reggae (Sad
Girl Walking in the Rain), e se dovessimo trovare una connessione più stretta
nella produzione recente viene in mente il fascinoso e riuscitissimo Yes and Also Yes del 2011.
Per Doughty è una prima volta fuori dalla sua New York,
l’album infatti è stato realizzato a Memphis, dove si è trasferito recentemente,
e i 12 brani che ne compongono la scaletta sono stati ispirati da una relazione
amorosa finita male. Comunque sia, e andando al sodo, le sensazioni che questo
nuovo lavoro dispensa ai primi ascolti sono lontane dal suscitare entusiasmo.
Con Mike Doughty d’altronde funziona così da una vita, si storce il naso e
intanto si continua a tenere il disco sullo stereo in attesa che il miracolo
avvenga. Cosa che puntualmente accade anche a questo giro, la spasmodica
ricerca del ritornello, che di primo acchito irrita e non poco, alla lunga fa’
il suo effetto senza curarsi del malcapitato che rimarrà incastrato tra i suoi
ricercatissimi marchingegni compositivi. Vedi le splendide: I Can't Believe I Found You in That Town,
Dawn/Gone e Give Me Something, brani che s’insinuano nel cervello e non si
ascolta altro per giorni interi.
VOTO: 7,5
Porter Stout, venerdì 09/12/2016
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