Tra le migliori e più eccitanti formazioni venute fuori
dall’ultima ondata Rock/Blues, i Black Joe Lewis & The Honeybears sono una
band in continua crescita. Incuranti delle tendenze del momento, proseguono con
decennale e granitica coerenza nella politica di promozione e rinvigorimento
del suono più legato alla tradizione americana, senza disdegnare incursioni in
territori più propriamente Garage/Punk e Funk/Soul. Tutti generi musicali che
non temono l’usura del tempo se si ha l’abilità di legare epoche musicali
diverse, prendendo da ognuna di esse il meglio, plasmandole in uno stile
inconfondibile. Così le 11 nuove canzoni di Backlash,
naturale proseguimento del magnifico Electric
Slave di quattro anni fa, approccio sincero ed energico, barra del timone
come sempre abbastanza impazzita. L’onnivoro Black Joe anche stavolta non ci fa
mancare nulla e, standogli vicino per i 42 min della durata del disco, si
potranno passare in rassegna molte delle istantanee più emblematiche della storia
della Black Music, dagli anni 70 in poi. Allo stesso modo la band che lo
asseconda pressoché dagli esordi (da Tell
’Em What Your Name Is! del 2009): The Honeybears, i suoi Dap-Kings.
Fenomenale sestetto, che firma con il rocker texano tutti i brani di Backlash, in cui primeggiano gli ottoni
di Jason Frey, Derek Phelps e Joseph Woullard e il chitarrista Michael Brinley
con il quale Black Joe ingaggia spesso vere e proprie scorribande elettriche.
Vedi
l’ingresso fulminante di Flash Eyed cavalcata
Punk’n’Roll contrappuntata da una sezione fiati vigorosa e inesauribile come
avesse alle calcagna James Brown nel giorno di paga. Niente di strano se subito
dopo arriva un pezzo che strizza l’occhio alle classifiche come ne sfornava a
decine il Prince degli anni 90, l’esotica Sexual
Tension, quasi a voler subito dichiarare che nessun approdo è precluso. E,
se il folletto di Minneapolis non vi ha mai convinto del tutto, ecco l’intro
hendrixiano di Global, funkettone dal
groove entusiasmante con la band a pieno regime. Nature’s Natural rallenta il tiro per omaggiare il fuoriclasse del
Soul: Otis Redding. Poi, perché non farlo anche con la blaxploitation? La serie
B della Black, Lips Of A Loser sembra
infatti provenire da una puntata della serie televisiva Shaft. Quindi gli Earth Wind & Fire e le ritmiche ruffiane di
Nile Rodgers in PTP (il pezzo
deputato a fare da apripista all’album). La seconda parte del disco è
decisamente più rockettara: in Freakin’
Out torna il Punk/Blues lascivo alla maniera della Jon Spencer Blues
Explosion, come anche nella durissima Shadow
People in cui sembra di imbatterci nel graffio Lo-Fi dei Gories di Mick
Collins. In chiusura l’altro lentaccio, Wasted,
incalzante e super sexy, le aperture Hard/Rock di Prison e infine Maroon, i
titoli di coda dell’album: fervore Boogie/Rock, sezione fiati che tampina da
presso, accenni alla jam da capitalizzare pienamente nella dimensione live. Backlash è un disco davvero splendido, in
perfetto equilibrio tra armonie e asprezze, potente e raffinato al contempo, che
non faticherà a trovare un posto di rilievo nelle liste dei migliori dell’anno
e, magari, potrebbe essere l’occasione giusta per far oltrepassare la soglia
del grande successo di massa a Black Joe e il suo ineguagliabile combo.
VOTO: 8
Porter Stout, venerdì 24/02/2017
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