Roger Federer è il
tennista più geniale della storia recente del tennis. Una carriera spesa
all’attacco, alla ricerca del punto memorabile, del colpo sensazionale che
rimarrà nella storia, l’istinto che dal nulla crea il gesto definitivo, oltre
il risultato sportivo, l’esperienza ultraterrena che David Foster Wallace ha
raccontato meravigliosamente nel suo saggio “Roger Federer come esperienza religiosa”. Così i riff di Keith
Richards, dritti al cervello, ricchi di memorie, inediti come la Vergine Maria,
immortali come gli Stones. Perché la passione per lo sport non è dissimile a
quella per il Rock. Soprattutto quando nascono in contemporanea, da ragazzino:
una volée di John McEnroe che contraddice le leggi della fisica, You Really Got Me dei Kinks a tutto
volume sul giradischi del vicino di casa. Sai che in futuro, se sarai onesto
con te stesso, poche altre cose ti faranno saltare sulla sedia con lo stesso
entusiasmo. Negli anni ti capiterà di incontrare persone interessantissime che
vorranno introdurti al Jazz, al paracadutismo o alle tematiche attinenti il
territorio, altri ti spiegheranno la differenza che passa tra il sushi di Kyoto
e quello di Nanchino, ti incoraggeranno a leggere i libri di Murakami ed ad
evitare come la peste quelli di Coelho e Baricco. Vedrai, riuscendo a stare
sveglio, tutto il cinema di Antonioni e non ti daranno fastidio i sottotitoli
in chissà quale lingua del capolavoro taiwanese che ha appena vinto la Palma
d’oro a Cannes. Non ci capirai un cazzo però sarai contento di averci provato.
Poi verrà la fase delle discipline orientali, quelle in cui bisogna fissare una
screpolatura sull’intonaco e poi respirare, respirare profondamente. Difenderai
a spada tratta, senza senso e alcun tornaconto, i partiti della sinistra
italiana e ti renderai ridicolo affermando di aver afferrato il senso delle performance
di Marina Abramović. Non mancheranno quelli che ti faranno venire dubbi sul
cibo che hai sempre mangiato. Non più una routine in cui palato e sopravvivenza
si danno il cinque. Mai fatto caso alle etichette? Sta tutto lì: fosfati,
conservanti, zuccheri sotto mentite spoglie! Massì, vaffanculo alle
multinazionali dell’alimentazione, d’ora in avanti solo patate e broccoli a km
zero. Bolliti con la Ferrarelle, perché c’è più cloro nella rete dell’acqua
pubblica che nella piscina, più verde che azzurra, delle Olimpiadi di Rio.
Friggerle non se ne parla: olio di palma! Vogliamo parlarne? Per fortuna ogni
anno arriva a salvarci, da noi stessi e dai buoni consiglieri, Natale e Pasqua
nello stesso giorno: la finale del torneo di Wimbledon. Tutto torna a posto,
sul tavolino solo cagate comprate al discount e, se tra un set e l’altro,
dovessero chiederti di scegliere tra London
Calling e 2001: Odissea Nello Spazio
nessun dubbio: mi spiace Stanley ma tengo Joe. Ci vorranno degli anni per capire
che le passioni, quelle vere, non potranno essere diverse da quelle ti hanno
acceso a 15 anni, tutto il resto è un buon contorno, rumore di fondo del quotidiano,
interessi che coltiviamo per compiacere più gli altri che noi stessi. Nei
momenti più merdosi della tua esistenza non avrai bisogno d’altro perché la
prossima settimana Roger Federer giocherà ad Indian Wells e a breve uscirà
l’ultimo disco di quella band australiana che ti è tanto piaciuta all’esordio.
Sono queste le tue medicine e nessuno potrà togliertele. Tutti sapete cosa è
successo alla Rod Laver Arena di Melbourne durante la finale degli Australian
Open: il Dio del tennis s’è intromesso spegnendo d’improvviso l’interruttore
che alimenta i muscoli di Rafa Nadal stabilendo che il fuoriclasse svizzero
meritasse di vincere il suo 18° Slam. Alla fine Roger lo ha ringraziato
piangendo di gioia e indicando il cielo. Noi con lui. Ora, se ne avete voglia,
ascoltate questa divertente canzoncina a lui dedicata. Un anonimo rocker
qualche anno fa ha voluto celebrarne il mito. Non sarà un capolavoro ma si fa
fischiettare alla grande.
Voto: 10 a Federer, 7 alla
canzone.
Porter Stout, sabato 11/02/2017
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