sabato 25 marzo 2017

CAROLINE SPENCE – SPADES & ROSES (Self-Released, 2017)



Quando partono le prime note di Heart Of Somebody e Caroline Spence recita “empty glasses and empty promises/ filling up my nights but in the morning I just want to forget”, è subito chiaro quale sia il motivo per cui questa giovane ragazza originaria di Charlottesville, Virginia, abbia vinto nel 2015 l’American Songwriter’s Lyrics Contest e perché, nello stesso anno, il suo album d’esordio, Somehow, abbia attirato l’attenzione di buona parte della stampa statunitense. Caroline è un talento puro, una cantautrice nel senso stretto della parola, che cura, cioè, con attenzione tanto la musica quanto i testi, entrambi componenti essenziali della sua musica. L’equilibrio perfetto di ogni singolo brano, la ricerca della melodia in purezza, gli arrangiamenti discreti e minimali, eppure tutti decisivi, e le liriche pervase da un ingenuo romanticismo, producono come risultato un pugno di canzoni più adulte della sua giovane età. Canzoni, che la Spence addomestica grazie a un soprano dolcissimo, all’apparenza delicato ed esile, ma che alla resa dei conti suona potente per estensione e incisivo per espressività. Spades & Roses non è certo un disco per allegroni ed è pervaso per tutti i quarantacinque minuti della sua durata da un profondo mood malinconico; eppure, il senso della melodia è così spontaneo e centrato, e la voce della Spence così coinvolgente, che lo spleen passa in secondo piano di fronte a un songwriting a dir poco cristallino. Così, se si chiudono gli occhi, quando parte la citata Heart Of Somebody, si prova la sensazione di librarsi in cielo sospesi sulle note morbidissime di una carezzevole lap steel. Tutto è perfetto stato di grazia: le strofe, il ritornello, il ponte, l’eterea melodia. La Spence, però, ci sa fare anche quando sfodera elettricità, come in Hotel Amarillo, che evoca ruvidezze alla Neil Young, o quando si abbandona all’estasi acustica di All The Beds I’ve Made, il cui arrangiamento d’archi, quasi sussurrato, accompagna una riflessione sulla stabilità di un nuovo amore (good love is easy, like falling asleep), attraverso l’inusuale metafora dei letti disfatti delle precedenti storie fallite. E’ un disco umorale, Spades & Roses, un disco che indaga l’anima e il cuore di una giovane donna, e che ci racconta tutti i dubbi che attraversano una relazione dopo un promettente inizio (Southern Accident), che lamenta, in Whishing Well, la perdita del proprio romanticismo (“just sitting here writing songs wondering where the love went”), che si abbandona, in punta di piedi, alle dolci cadenze di un valzer, come nella sublime Low Dancer, e che affronta il tema della droga, come una sorta di materna raccomandazione al proprio amato, nel pop solare di You Don’t Look So Good (Cocaine) (“some people can handle it, oh honey,  you can’t”). Less Is More, si potrebbe definire icasticamente l’approccio della Spence alle composizioni. Tuttavia, se è vero che gli arrangiamenti sono minimal e possiedono un retrogusto quasi lo-fi, è altrettanto vero che Spades & Roses è un disco talmente denso di emozioni da procurarci, ad ogni nuovo ascolto, un lungo palpito del cuore. Tra le cose migliori ascoltate in questo primo scorcio del 2017.

VOTO: 8





Blackswan, sabato 25/03/2017

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