Se è vero che
il secondo disco è il più difficile nella carriera di un’artista, i Banditos
hanno voluto evitare ogni rischio e sono andati sul sicuro. Visioland,
sophomore della band originaria di Nashville, è, infatti, più o meno la copia
carbone del fortunato esordio del 2015, pubblicato sempre per la Bloodshot
Records, una delle etichette statunitensi più attive e interessanti del
momento. Niente di nuovo sul fronte occidentale, dunque, ma la consueta miscela
che pesca dal southern anni ’70 e dal sound Muscle Shoals, riletti in chiave
psichedelica e speziati con una spolverata di garage. Se si può trovare qualche
differenza fra i due lavori, questa sta eventualmente solo nella diversa
proporzione degli ingredienti: se il disco d’esordio, infatti, suonava
leggermente più rock, in Visionland prevale il gusto per la ballata soul.
Niente di tanto eclatante, però, da cambiare le carte in tavola che, come si
diceva, restano sostanzialmente le stesse. Il disco parte alla grande con Fine
Fine Day, brano swamp rock alla Lynyrd Skynyrd, attraversato da un’attitudine
garage e con le chitarre aizzate in un finale veemente. E’ però un episodio
quasi a sé stante: la successiva Strange Heart, introdotta e sostenuta da un
bel drive di basso, sposta, invece, l’accento verso il soul e vede protagonista
la bella voce di Mary Beth Richardson, che insieme al banjo di Stephen Alan
Pierce, è l’elemento maggiormente identificativo del sound della band. Grande prova,
e un’interpretazione che richiama alla memoria Janis Joplin, per quanto, in
altri frangenti, la Richardson sembra aver mandato a memoria più lo stile di
Bonnie Bramlett. Se Lonely Boy è un country pop dal sapore vintage, che combina
una melodia garage anni ’60 a un’attitudine country elusiva e sottotraccia, la
title track imbocca decisamente la strada della psichedelia, mentre Fun All
Night fa emergere l’anima blues della band e la conclusiva e rockeggiante DDT,
col banjo a tessere le fila e un inaspettato cambio tempo a metà brano,
testimonia, invece, di una raggiunta maturità a livello compositivo. Un disco
ben fatto, dunque, con cui i Banditos cristallizzano definitivamente un suono,
ma che, a dire il vero, manca di quelle grandi canzoni che consentirebbero al
gruppo il definitivo salto di qualità. Un album di mantenimento, verrebbe da
dire, che, se da un lato garantisce alla band i medesimi standard dell’esordio,
dall’altro non sembra sviluppare adeguatamente quello che pare essere un grande
potenziale, al momento parzialmente inespresso.
VOTO: 6,5
Blackswan, giovedì 20/07/2017
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