Che i Downtown Boys fossero tra i gruppi americani più
promettenti e anticonformisti degli ultimi anni s’era capito subito, quando
uscì Full Communism, l’album che li
impose all’attenzione generale dopo un’Ep e alcuni pezzi dal vivo raccolti
nell’omonimo debutto del 2012. Il disco arrivò qui da noi alla fine del 2015 ed
ebbe l’effetto di un fulmine a ciel sereno, un esplosione Punk/Soul come non si
sentiva dai tempi dei BellRays, chitarre inferocite, fiati alla James White,
sezione ritmica martellante. Poi lei, Victoria Ruiz, corpulenta ed esplosiva frontwoman,
origini ispaniche, potenza espressiva e presenza scenica fuori dal comune (canta
alternando inglese e spagnolo pogando tra il pubblico).
Il gruppo si forma a Providence nel 2011 sotto
l’impulso della Ruiz e del chitarrista Joey De Francesco conosciutisi tra il
lusso degli alberghi di Rhode Island dove lavoravano riassettando suites e
servendo colazioni al bel mondo della East Coast. Presto, per entrambi,
rivendicazioni e lotte sindacali tese ad ottenere un miglior trattamento
salariale diventano prioritarie. Da qui il desiderio di metter su un combo
musicale che possa veicolare più incisivamente il malcontento delle migliaia di
lavoratori, in prevalenza latinos, sfruttati dall’industria del turismo a
cinquestelle. All’incazzato e determinatissimo duo si unisce un pugno di altri
musicisti provenienti da ogni dove e altrettanto politicizzati: Will Cioffi
(sax alto), Emmett Fitzgerald (sax tenore), Norlan Olivo (batteria) e Dan
Schleifer (basso). L’Internazionale Punk di Rhode Island può incominciare a far
proseliti e, con Full Communism,
firma il suo manifesto programmatico in cui istanze politiche e sociali vanno
di pari passo all’irruenza sonora.
Rispetto al passato la novità più significativa
rappresentata da Cost Of Living è il
cambio della label, la band lascia l’etichetta Punk newyorchese Don Giovanni
per entrare nel rooster della Sub Pop alla ricerca di miglior visibilità e
maggiori attenzioni da parte dei media. Per il resto abbiamo tra le mani il
naturale proseguimento di Full Communism
certificato anche dalla produzione dell’ex Fugazi Guy Picciotto che in alcuni
episodi incattivisce ulteriormente il sound rendendo ancor più trasparenti le
influenze dei Downtown: gli MC5, i Rage Against The Machine e naturalmente la
band più politicizzata della storia del Punk, i Crass. L’inizio è al
fulmicotone, un basso pulsante introduce A
Wall, gli altri strumenti s’aggiungono fino all’impazzimento full band con
Victoria che urla al mondo il suo desiderio di abbattere muri, mentali e
fisici. L’attacco di I'm Enough (I Want
More) è rabbioso come una hit dei Discharge, mentre la barricadera Somos Chulas (No Somos Pendejas), il
singolo che ha anticipato l’album, incita alla sommossa tra ironie e fiera autodeterminazione.
Sono brani in cui la cantante rigurgita slogan a cascata: razzismo, omofobia,
xenofobia, ingiustizie sociali, tutto il cibo avariato che abbonda sul desco
trumpiano. La band l’asseconda creandole intorno un substrato sonoro aggressivo
e forsennato andando a segno altre volte in scaletta: le impetuose Because You e It Can't Wait, l’avvincente Punk’n’Roll di Lips That Bite. Cost Of
Living è dunque un disco consigliatissimo ai ribelli di tutte le età, un
disco che musicalmente aderisce bene alla massima “non c’è futuro senza
passato” e, per quanto riguarda l’attualità, non c’è che da scegliere tra i
tanti slogan urlati a squarciagola da Victoria Paz.
VOTO: 8
Porter Stout, Venerdì 11/08/2017
VOTO: 8
Porter Stout, Venerdì 11/08/2017
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