Party
Of One è un disco così scarno ed essenziale che questa recensione
potrebbe finire qui. George Thorogood ha, infatti, messo in naftalina i
suoi Destroyers, il suo sferragliante boogie, la sezione ritmica e il
sax, quella visione un po' manichea di un rock blues muscolare e
tagliato con l’accetta, e si è chiuso in studio, da solo con le sue
chitarre, elettrica e resofonica. Una dimensione inusuale e sorprendente
per il songwriter di Willmington, che giunto in prossimità dei
settant’anni, ha voluto misurarsi con le radici del blues, con quella
musica che fin dal lontano 1977, anno del suo esordio certificato disco
d’oro, ha costituito l’humus di un suono divenuto ormai iconico. Il
risultato è un disco scabro e icastico, in cui vengono riletti con
devozione filologica grandi canzoni del passato. Quella macchina da
guerra che è la chitarra di Thorogood, dopo aver macinato migliaia di
chilometri ad alta velocità, si è fermata per fare il punto della
situazione: tributare un omaggio ai padri del genere, dimostrando di
avere raggiunto ormai l’autorevolezza per farlo in solitaria. Insomma:
un grande che rilegge i grandi. Senza fronzoli o alchimie in fase di
produzione, voce, chitarra e armonica, il suono e la passione a fare la
differenza, a trasformare in oro una materia che in mano ad altri
sarebbe stata pesante come il piombo. In scaletta, in filotto di
classici, alcuni notissimi, altri un po' meno, tutti, però,
reinterpretati in modo viscerale, col cuore in mano. A partire da I’m Steady Rollin’ Man, presa dal repertorio di Robert Johnson, che apre il disco con un ringhio elettrico degno del miglior Thorogood o da Wang Dang Doodie,
super classico a firma Willie Dixon, la cui rilettura, per chitarra
acustica e armonica, non sfigura rispetto alla leggendaria versione che
ne fece Howlin’ Wolf. Sono, però, davvero tanti gli high lights di Party
Of One: così è impossibile non emozionarsi innanzi a Bad News di Johnny Cash, in cui l’immedesimazione fra il chitarrista e “the man in black” è pressoché totale o a Down The Highway,
tratta da Freewheelin’ di Bob Dylan, diretta e polverosa come
l’originale. A chiusura il disco, poi, non poteva mancare la rilettura
unplugged di One Bourbon, One Scotch, One Beer, capolavoro
senza tempo di John Lee Hooker, e da sempre cavallo di battaglia di
tutti i live di Thorogood. Una chiosa ovvia, ma indispensabile, per un
disco di blues essenziale e crudo, autentica gioia per le orecchie di
tanti appassionati e, soprattutto, di quei puristi che la musica del
diavolo la intendono esattamente così: nuda come il Mississippi l’ha
fatta.
Blackswan, domenica 17/09/2017
Nessun commento:
Posta un commento