Poco
conosciuti e apprezzati dalle nostre parti, ma con un discreto seguito
di aficionados nel resto d’Europa (Francia Belgio, Olanda e Germania), i
londinesi Miraculous Mule sono in circolazione dal 2011 e hanno
all’attivo già quattro dischi in studio, compreso quello di cui stiamo
scrivendo ora. Power trio, come quelli che andavano tanto in voga sul
finire degli anni ’60, il combo britannico è stato fondato dal
chitarrista e songwriter Michael J. Sheehy, già membro dei Dream City
Film Club, band di culto degli anni ’90, dal batterista Ian Burns e dal
cantante e bassista Patrick McCarthy. Quattro dischi, dicevamo, di cui
gli ultimi due usciti via Bronzerat Records, la mitica etichetta dei Jon
Spencer Blues Explotion, e una proposta musicale possente, priva di
fronzoli, lontana anni luce dalle mode dello star system. I Miraculous
Mule guidano una macchina da guerra dall’alto potenziale hard rock,
accessoriata, però, con optionals blues, soul, gospel e con un tettuccio
apribile vista space rock in chiave psichedelica. Potrebbero ricordare
in qualche modo gli americani Radio Moscow o i Rival Sons, se non fosse
che la loro proposta è meno monolitica, più varia, con linee melodiche
più definite e minor attenzione passatista al classic rock. Ascoltate,
ad esempio, Sound Of The Summer, il primo singolo tratto dal
disco, un r’n’b scorticato da un basso e da una chitarra distortissimi,
ma con un ritornello uncinante dall’alto appeal radiofonico. Il mood del
disco, pur mantenendo una solida coerenza di intenti, varia, quindi, di
canzone in canzone: l’incipit Holy Fever, con quel basso
pompato e distorto, è un cazzotto sullo zigomo tirato con ferocia quasi
punk, lo sferragliante interplay fra basso e chitarra fanno di Shave ‘Em Dry un hard funky dagli echi hendrixiani, il passo monolitico di Where Monsters Lead è una chiamata alle armi contro le politiche di destra americane e inglesi (Trump e Farage nel mirino), The Fear è un gospel maciullato da tenaglie psych rock, We Now About Cha, con le sue ruvide accelerazioni, riporta in vita i Motorhead del compianto Lemmy, mentre la chiosa di Blues Uzi (Reprisal)
sigilla sontuosamente la scaletta con quasi sette minuti che frullano
cantato rap, gospel, psichedelia e sanguigno rock blues. Two Tonne
Testimony è un disco viscerale, a tratti abrasivo, suonato con la
manopola dei volumi e delle distorsioni posizionata sul massimo, ma in
grado anche di soddisfare i palati che apprezzano qualche deviazione
rispetto alle coordinate di genere. Un vero sollucchero per gli amanti
del rock più duro.
VOTO: 7
Blackswan, martedì 24/10/2017
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