Arriva dal Canada la next big thing della
musica roots statunitense, e per la precisione da Prince Edward Island,
uno dei posti più incantevoli della terra, tanto da valergli
l’appellativo de Il Giardino Del Golfo. Whitney, dopo avere iniziato la
carriera a Toronto, città che ha visto i natali dei suoi due primi full
lenght (il primo, self titled, è del 2012, il secondo, Heartbreaker Of
The Year, è uscito nel 2015), si è trasferita ad Austin, Texas, dove ha
dato vita alla seconda parte della sua carriera artistica, pubblicando a
inizio anno un delizioso Ep dal titolo South Texas Suite. Un antipasto
sfizioso che ha anticipato di pochi mesi l’uscita di questo nuovo album
in studio, registrato sotto la supervisione di Raul Malo (The Mavericks)
e Niko Bolas, e che ha visto il contributo di un pugno di musicisti
rodatissimi, quali Paul Deakin (sempre dei the Mavericks) alla batteria,
Jay Weaver (già con Dolly Parton e Tanya Tucker) al basso, Jen
Gunderman al piano, Chris Scruggs alla steel guitar e Kenny Vaughn alla
chitarra. “Vintage-pop-infused-neo-traditional-country”, così la stessa
Rose, con un filo di umorismo, definisce la propria musica. Tuttavia,
fermo restando che l’ambito nel quale si muove la songwriter canadese
resta quello del countrypolitan, Rule 62 fa registrare una scrittura
più articolata: se il precedente Ep era piacevolmente affetto da
un’ortodossia dal retrogusto anni ’60, questo nuovo full lenght suona
decisamente più aperto a nuove sonorità. Il manifesto I Don’t Want Half (I Just Want Out)
dimostra visceralmente tutto l’amore di Whitney per il country e
giustifica paragoni, non certo campati in aria, con Loretta Lynn;
eppure, il disco risulta molto più vario dei suoi predecessori, aprendo
nuove prospettive sull’evoluzione del suono della casa. Uno degli high
lights del disco, ad esempio, è Cant’Stop Shakin, superlativo
funky attraversato da un irresistibile groove, in cui chitarra, fiati e
hammond aprono a un finale per tromba e campanaccio, che è una vera
delizia. Fiati che tornano anche in Arizona, brano che nasconde una pimpante anima bluesy, mentre Better To My Baby
rilegge il country con un arrangiamento alla Spector che si muove
leggiadro fra sixties, soul e pop. La voce carezzevole della Rose, poi,
arriva dritta al cuore quando si cimenta in quello che sa fare meglio:
due ballate come You Never Cross My Mind e You Don’t Scare Me,
infatti, testimoniano di un songwriting capace di sviluppare melodie
senza tempo, languide e dolcemente malinconiche, che universalizzano il
linguaggio, spostando l’accento dal country al pop. Rule 62 è un disco
che svela un’anima musicale più composita, legata, certo, alla
tradizione, ma pronta ad aprirsi a un mood decisamente soul pop che,
l’ottima produzione di Malo ha contribuito a mettere in evidenza. In
questo 2017, la Rose ha giocato due distinte partite, sulla breve e
sulla lunga distanza, vincendole entrambe e dando l’abbrivio decisivo a
una carriera che si prospetta luminosa.
VOTO: 7,5
Blackswan, giovedì 12/10/2017
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