Band
a conduzione famigliare (i fratelli Andrew e Zachary Gabbard,
rispettivamente chitarrista e cantante, il primo, bassista, il secondo, a
cui si aggiunge il batterista Joseph Sebaali), i Buffalo Killers, pur
non avendo molto seguito dalle nostre parti, hanno alle spalle più di
dieci anni di carriera e ben sette dischi pubblicati a partire dal 2006.
Originaria di Cincinnati, Ohio, la band si è distinta per una carriera
all’insegna di un suono ruvido, compatto e, oserei dire, pressoché
immutabile che, con approccio lo-fi e inclinazione jammistica, ha
incorporato nel tempo richiami a un certo power rock anni ’60 e ’70
(Blue Cheer, Cream, etc), inclinazioni fortemente psichedeliche,
dinamismo swamp e, soprattutto, afrori sudisti. Tanto che, non è certo
un caso, nel tempo la band è stata spesso paragonata a una versione
grezza dei Black Crowes o dei Black Keys, il cui leader, Dan Auerbach,
ha messo peraltro mano alla produzione del loro secondo disco, Let It
Ride (2008). Registrato presso il loro Howler Hills Farm Analog Studio e
mixato e masterizzato da Mike Montgomery, Alive And Well In Ohio non è
solo l’ottavo disco della band, ma anche, non me ne vogliano i fans
della prima ora, il suo migliore: il suono è più organico, meno furente,
certo, ma decisamente più equilibrato in tutte le sue componenti. Che,
nello specifico, vedono prevalere la melodia e la psichedelia su spunti
jammistici e riff abrasivi. Un disco coeso, dunque, in cui il consueto
rock muscolare trova un perfetto bilanciamento con i groove blues alla
Black Keys, il southern boogie, gli echi di un passato antico e,
soprattutto, come si diceva, ganci melodici e psichedelici di
beatlesiana memoria. Un suono, questo, immediatamente riconoscibile
nell’opener Death Magic Cookie, nella successiva What A Waste, che pare evocare i Soundgarden alle prese con il repertorio dei Fab Four, e ancor di più in Eastern Tiger, due minuti e mezzo elettro-acustici di divagazione psichedelica. Se Need A Changin’ paga pegno ai Cream e Out Of This Hotel è una cavalcata elettrica frickettona e dimessa, Evil Thoughts,
dagli sfumati contorni lisergici, si conquista la piazza di miglior
canzone del lotto con una melodia irresistibile e un arrangiamento di
coretti e controcanti goduriosissimo. Chiude Black Halo, forse
la canzone che meglio testimonia la maturità di una band che ha saputo
finalmente trovale la misura e contemperare potenza grezza,
arrangiamenti più complessi e intriganti e contenuti armonici di facile
presa. Bel disco.
Blackswan, giovedì 09/11/2017
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