Ci
sono ottimi musicisti che, per quanto facciano, non riescono a uscire
dall’anonimato o dalla ristretta cerchia della nicchia. Altri, invece,
per i quali, a un certo punto della carriera, le cose cambiano
radicalmente, magari per un colpo di fortuna, per una crescita
improvvisa di popolarità innescata da una canzone o un video, oppure,
più semplicemente, perché grinta e pertinacia, alla fine, riescono ad
averla vinta.
Non
esiste un manuale per il successo né regole che valgano per tutti: il
music business è una brutta bestia da domare e spesso basta davvero poco
a essere disarcionati. Di sicuro, Anderson East ha fatto tutto quello
che era nelle sue possibilità, riuscendo a trovare la formula vincente e
l’abbrivio verso un futuro dorato. Trent’anni, originario di Athens
(Alabama), Anderson a cominciato a masticare musica fin da piccino. Suo
nonno, infatti, era prete in una chiesa battista, suo padre cantava nel
coro di una chiesa e suo madre suonava il pianoforte. Sempre in chiesa.
La
religione, Dio e appunto, la chiesa: nel Sud degli States, anche se non
sei nero, spesso il connubio fra fede e musica risulta essere
indissolubile. E così è stato per il giovane East, che ha studiato, ha
imparato a suonare il piano e a comporre canzoni, ispirandosi ai suoi
genitori e facendo il pieno di quella musica soul e gospel che in
Alabama è strettamente connessa al Dna e all’aria che si respira. La
carriera di Anderson è iniziata nel 2009, con un paio di dischi
autoprodotti e un paio di Ep, che hanno formato il carattere del ragazzo
e hanno rodato un talento, come si suol dire, cristallino.
Ed
ecco la svolta: il talento viene notato, East firma con l’Elektra, Dave
Cobb lo prende sotto la sua ala protettrice, esce Delilah e il ragazzo
fa il botto. Quello grosso. Da quel momento le cose cambiano
radicalmente. East partecipa a popolari talk show, una sua canzone viene
inserita nella colonna sonora di Cinquanta Sfumature di Grigio (che è
una merda di film, ma è anche quello che gli americani chiamano high
profile movie: porta grana e porta fama), dà vita a performance live
irresistibili e, gossip non olet, si fidanza con la stellina del
country, Miranda Lambert, finendo sulle pagine di Us Weekly e People.
Anderson, però, è un ragazzo con la testa sulle spalle e non si fa
concupire dalle sirene del successo. Si rimette al lavoro e, fra una
comparsata televisiva e un charity album (partecipa a Cover Stories,
tributo benefico a un disco di Brandi Carlile) esce con questo nuovo Encore.
Ovviamente,
East si è tenuto stretto Dave Cobb, che mette mano anche alla
produzione del sophomore, con un lavoro fantastico sul suono, che
risulta vintage e moderno allo stesso tempo, e un utilizzo misuratissimo
ma decisivo, di archi e fiati, che esaltano il timbro vocale del
songwriter di Athens. Aroma di caffè caldo al mattino, accompagnato da
una sigaretta e un cucchiaino di mele: ruvida e al contempo carezzevole,
la voce di East trova sempre la strada per arrivare al cuore delle
emozioni. Il repertorio in scaletta è puro southern soul, riletto però
con una sensibilità e una passione che fanno la differenza. Non ci sono
sostanziali differenze rispetto al disco d’esordio, e i riferimenti
(Stax, Otis Redding, Van Morrison, etc.) restano invariati. Tuttavia, a
parte la più lunga durata del minutaggio, Encore possiede una maggiore
consapevolezza, una qualità superiore delle composizioni e una più
spiccata inclinazione mainstream.
Il disco alterna ballate caldissime (la classicissima If You Keep Leaving Me, la vanmorrisiana King For A Day) a sferzanti impennate R&B (Sorry You’re Sick, Surrender),
in cui scintillano fiati grassi che portano dritto al centro del dance
floor. Havin’ a party! I fiori all’occhiello della scaletta sono il
singolo Girlfriend, groove funky irresistibile, arrangiamento suntuoso e assolo di moog che manda in estasi, All On My Mind, incedere sensuale, visione moderna, pezzo stratosferico, Without You, ballatone strappa mutande dal retrogusto sixties (qualcuno ha detto A Whiter Shade Of Pale?) e la conclusiva Cabinet Door,
intima, crepuscolare e intensa. Un lotto di canzoni impressionanti,
dunque, a cui la mano di Dave Cobb ha aggiunto ulteriore verve.
Se
è vero, come canta Caparezza, che “il secondo album è sempre il più
difficile nella carriera di un’artista”, Anderson ha brillantemente
superato l’ostacolo, proponendosi come una delle più eccitanti realtà
soul oggi in circolazione.
VOTO: 8
Blackswan, sabato 20/01/2018
2 commenti:
ma fa pena ! inascoltabile -
@ Giuseppe: fatti fare una visita dall'otorino. Magari ti risolve il problema.
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