A
volte, bisogna aver il coraggio di cambiare, di uscire da logiche
predeterminate, di sovvertire il corso degli eventi seguendo il proprio
istinto. Se non fosse così, Nathaniel Rateliff sarebbe ancora nel limbo
di quei musicisti, magari anche bravi, ma costretti al semi-anonimato di
una nicchia di fedeli appassionati.
Perché,
molte volte, non basta seguire, sic et simpliciter, le proprie
inclinazioni: il talento dev'essere indirizzato, occorre trovare il modo
per poterlo esprimere al meglio. Ratecliff è in attività dal 2007 e
agli albori della sua carriera aveva pubblicato tre dischi, muovendosi,
senza infamia e senza lode, nel circuito nu-folk. Era la sua passione e
evidentemente pensava di avere le carte in regola per sfondare. E
invece, picche.
Accortosi
che non avrebbe mai cavato un ragno dal buco, Nathaniel mette in piedi
una band di sette elementi, i Night Sweats, bussa alla porta della Stax e
propone un repertorio nuovo di zecca, soul e r'n'b che più vintage non
si può. L’esordio sotto questa nuova veste, Nathaniel Rateliff & The
Night Sweats (2015) si dimostra una vera sciccheria, e il pubblico si
accorge finalmente del songwriter di Saint Louis, grazie anche a un
singolo bomba, intitolato S.O.B. (Son Of a Bitch), che intasa i
passaggi radiofonici di mezzo mondo. Poi, un Ep, per battere il ferro
finché è ancora caldo, e un travolgente disco dal vivo, Live At Red
Rocks, pubblicato lo scorso anno, a coronamento di un successo che porta
il soul singer sulle copertine di quasi tutte le riviste specializzate.
Rateliff
torna adesso con il suo secondo album in studio, che, come si sa, è il
momento della verità, quello che dimostra se l’artista ha le capacità
per potersi riconfermare ad alti livelli, oppure è stato solo un fuoco
di paglia di cui, in breve tempo, nessuno si ricorderà più. Confermata
la produzione di Richard Swift e rimessi in pista i suoi Night Sweats,
band straordinaria nel cucire un abito sonoro perfetto intorno alla
verve compositiva del nostro eroe, Nathaniel sfodera nuovamente un lotto
di canzoni suntuoso, ispirate da quella black music targata Stax, forse
risaputa, ma capace, se adeguatamente manipolata, di produrre autentico
e spensierato divertimento.
Se
il fulcro dell’ispirazione di Rateliff è ancora una volta Otis Redding,
rispetto al primo disco, Tearing At The Seams introduce qualche leggera
differenza. A fronte di una maggior omogeneità compositiva, manca,
infatti, il singolo canaglia capace di aggredire da solo le charts (la
bella You Worry Me, per quanto ruffianella, ha un tiro
decisamente inferiore a quello di S.O.B.); il disco, poi, presenta
arrangiamenti più moderni e maturi, che stemperano l’approccio festaiolo
e ruspante degli esordi, che riaffiora a tratti solo in alcuni episodi,
peraltro riuscitissimi (Intro, Be There).
Una
scaletta, dunque, più ragionata, meno ad effetto (e meno ingenua), a
cui tuttavia non difettano grandi canzoni, a testimonianza che Rateliff è
cresciuto molto anche come songwriter. La ballata dagli echi dylaniani Hey Mama, il r’n’b quadrato dell’iniziale Shoe Boot, che scivola in una calda coda strumentale, gli echi clamorosamente sixties di Baby I Lost My Way o il beat pianistico di I’ll Be Damned,
tanto lineare quanto efficace, sono alcune degli episodi più riusciti
della carriera di Rateliff. Che si conferma, da un lato, musicista
verace, dall’altro, interprete capace di rivitalizzare un genere con
crescente consapevolezza e maturità.
VOTO: 7
Blackswan, martedì 27/03/2018
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