A
soli ventisette anni, Courtney Mary Andrews ha già all’attivo ben sei
album. Un numero di dischi considerevole se si pensa che Courtney ha
iniziato a incidere nel 2008. La svolta, però, è arrivata solo di
recente, visto che la Andrews è balzata all’attenzione nazionale e
internazionale nel 2016, anno di pubblicazione dello splendido Honest Life.
Un
disco, quello, che aveva una genesi tutta europea. Courtney, infatti,
ha scritto le dieci canzoni che ne componevano la scaletta durante un
soggiorno di quattro mesi in Belgio. Nata a Phoenix, Arizona, ma
trasferitasi da tempo a Seattle, la Andrews era volata a Bruxelles per
rielaborare una storia d’amore finita male. Questa esperienza, il
dolore, la solitudine dei giorni vissuti in terra straniera, la
nostalgia di casa, la lontananza dagli affetti, sono gli argomenti che
animavano le liriche, delicate e al contempo sincere e dirette, di un
pugno di canzoni attraversate da echi West Coast e seventies, e da
richiami al songwriting di Emmylou Harris, Carole King e Joni Mitchell.
May Your Kindness Remain
si muove più o meno per le stesse coordinate, proponendo un filotto di
canzoni ancora una volta scritte lontano da casa, durante l’ultimo tour
americano ed europeo. Se, però, in Honest Life, la Andrews si guardava
dentro, cercando di analizzare l’intimo dei suoi sentimenti, May Your Kindness Remain
rivolge lo sguardo all’America di oggi, alle consuete mille
contraddizioni della nazione, estremizzate però dalle politiche di Trump
e da una società sempre più insensibile verso le istanze degli ultimi.
Non è quindi un caso che il disco richiami nel titolo il bisogno di
gentilezza come elemento per armonizzare le antinomie che conducono il
paese verso una pericolosa deriva.
Sono
proprio la gentilezza e la grazia, evocate anche dall’immagine di
copertina che ritrae una Curtney pensosa e mollemente adagiata sul
divano, ad animare le dieci canzoni che compongono la scaletta. Una
musica dalla filigrana romantica e dolcemente malinconica, prodotta
dalla mano esperta di Mark Howard (Lucinda Williams, Bob Dylan, Tom
Waits, etc), che tesse un ordito dalla trama più complessa, mettendo in
risalto il soprano volubile della Andrews attraverso chitarre
riverberate e atmosfere soffuse e delicatamente vintage.
Un
disco più maturo rispetto a Honest Life, che perde forse qualcosa in
termini di immediatezza in favore di canzoni, però, maggiormente
strutturate e omogenee. E’ la sensazione che si prova fin
dall’emozionante title track, che apre il disco distendendo il
tessuto vellutato di un country gospel tanto morbido quanto
appassionato. Un incipit che benedice un filotto di canzoni tutte
bellissime, i cui richiami agli anni ’70 sono ancora presenti nel
country soul della pimpante Two Cold Nights In Buffalo e negli ammiccamenti radio frendly di Kindness Of Strangers, ma che è capace di offrire autentiche gemme anche nell’ondeggiante delicatezza del valzer di I’ve Hurt Worse o negli accenti rock e nell’hammond che divampa nella sensuale Border.
May Your Kindness Remain evapora nei languori country della nostalgica Long Road Back To You,
commovente finale di quello che potremmo definire, usando un termine
abusato, il disco della maturità di Courtney Mary Andrews. Un’artista,
che non conosce passi falsi e che cresce in termini di scrittura e
interpretazione, disco dopo disco, confermandosi una delle figure più
brillanti e autentiche dell’odierno suono americano.
VOTO: 8
Blackswan, martedì 10/04/2018
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