Se
è legittimo giudicare la grandezza di una band dal grado di maturità
raggiunto, si può affermare che i Cloud Nothings, con il loro ultimo Last Building Burning,
siano finalmente diventati grandi. Non fraintendete: stiamo parlando di
un band che ha fatto della veracità e della qualità un marchio di
fabbrica, inanellando un crescendo di dischi uno più bello dell’altro.
Gli
ultimi quattro anni di carriera sono però stati decisivi per il
processo di crescita arrivato oggi al suo zenit: nel 2014, con Here And Nowhere Else,
i CN hanno tenuto una lectio magistralis su come gestire la materia
pop-punk, dosando un perfetto equilibrio fra melodie accattivanti,
ritornelli catchy e la potenza deragliante di un noise rock urlato e
vibrante, mentre, con il successivo Life Without a Sound dello
scorso anno, hanno smussato gli spigoli più acuminati, dando maggior
peso alla componente pop del loro songwriting. Due opere di valore
assoluto, quindi, che hanno trasformato il giocattolino nelle mani di
Dylan Baldi in una macchina da guerra che non sbaglia un colpo.
Last Building Burning
eredita il meglio dei due dischi precedenti, innervando le otto canzoni
che lo compongo di un furore selvaggio, gestito però con grande
sapienza e fatto convivere per la prima volta in una forma canzone
inusuale per gli standard dei Cloud Nothings. Ciò avviene in Dissolution,
che non solo si pone come uno degli high lights del disco, ma propone
anche un minutaggio inusitato e debordante. E’ un universo parallelo,
quello esplorato dalla band originaria dell’Ohio, che, per la prima
volta in carriera, coagula in quasi undici minuti un ribollente magma
ove convivono post hard core, noise, feedback, riverberi, nebulose
rarefatte e una vibrante coda, in cui una ritmica martellante e
ossessiva conduce nuovamente alla violenta deflagrazione iniziale. Una
struttura circolare e complessa, a testimonianza di una band capace di
uscire dalla comfort zone per cercare nuovi territori in cui esprimere
una creatività che ha raggiunto picchi altissimi.
Se Dissolution
rappresenta una possibile nuova traiettoria per il futuro dei Cloud
Nothings, il resto del disco eleva al massimo possibile gli standard già
alti a cui il combo americano ci ha abituati. Lo fa fin da subito, con
l’opener On An Edge, sconquasso post hard core, che colpisce
nel segno come un uppercut sullo zigomo, aumentando notevolmente una
potenza di tiro già considerevole.
Sanno fare malissimo, i Cloud Nothings, ma non dimenticano mai di giocarsi anche la carta vincente di un paio di brani (Leave Him Now e Another Way Of Life),
in cui chiamano all’appello quelle accattivanti melodie lo-fi, che da
sempre sono il piatto forte della casa. Due ottime canzoni, che da sole,
però, non sposterebbero il giudizio su un disco che possiede, invece,
le stigmate dell’alternative instant classic.
In Shame, infatti, riaccende l’epos della bellissima I’m Not A Part Of Me (da Here And Nowhere Else),
gonfiando di lirismo sturm und drang tre minuti di canzone che sfidano
con lo sguardo di fuoco il cupo livore del cielo in tempesta. Stupisce,
poi, la ruggine nostalgica che ossida il riff post punk di Offer An End, e straziano il cuore le unghiate malinconiche sul muro elettrico di So Right So Clean, ballata che destruttura con ruvide distorsioni una melodia intrisa di rassegnata disperazione.
Se
ancora c’è qualcuno che pensa ai Cloud Nothings come a una band di
cazzoni alle prese con del pop punk tardo adolescenziale, dopo aver
ascoltato Last Building Burning, avrà modo di ricredersi
definitivamente: il trio di Cleveland esibisce una qualità compositiva
da fuoriclasse e firma quello che può essere senz’altro definito il
proprio capolavoro. Un disco che ferisce i padiglioni auricolari con
scariche elettriche di rinnovata ferocia e guarda a un possibile nuovo
futuro con baldanzosa consapevolezza. Indispensabile.
VOTO: 8
Blackswan, domenica 11/11/2018
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