Il
mare d’inverno, soprattutto. Un cielo livido, freddo come l’acciaio: i
nembi si addensano, ribollenti di pioggia e di oscuri presagi, che si
materializzano proprio là in fondo, dove l’orizzonte sfiora con le dita
il filo sottile dell’acqua e un ultimo barbaglio di sole svanisce. Gli
smeraldi rilucenti del mare trasmutano la propria gioia in un’afflizione
torbida, sgranando gli ultimi verdi riflessi nel grigio opalescente
della nostalgia. Un’increspatura, un breve mulinello, e poi gorghi
sempre più ampi, la marina ribollente, l’impeto sempre più feroce della
risacca e, quindi lo schianto di un’onda, rumoroso e brutale, come solo
la natura sa essere.
C’è
il mare in inverno nel quarto disco dei La Dispute, quel mare che
accerchia il Michigan, paese di provenienza della band. Il panorama,
però, non è quello che trovi sulle cartoline: lo sguardo, semmai, è
pervaso da un romanticismo febbrile e disperato, uno sturm und drang
musicale che ha lo stesso suono del mare: il monotono sciabordio
dell’acqua, l’errante vagabondare delle onde, e poi, grido nella notte,
improvviso arriva il fragore, che spezza il cuore, come un dolore
inaspettato e definitivo.
E’ questo lo sviluppo sonoro delle dieci canzone che compongono Panorama,
full lenght che sublima la poetica di Jordan Dreyer, leader, cantante e
paroliere di una band che ha sempre messo al centro della narrazione un
lirismo duro e disperato: l’incedere morbido, talvolta avvolgente e
amniotico, che all’improvviso deraglia, trasfigurando lo spoken word del
cantante (il cui timbro ricorda quello di un Robert Smith alle prese
con attacchi di panico) in improvvisi accessi di rabbia belluina.
Ecco allora le montagne russe emotive di Fulton Street I,
il cui dipanarsi monotono del drive di chitarra progredisce
ciclicamente verso improvvisi crescendo, come se un pensiero, prima
dolcemente malinconico, prendesse lentamente le sembianze di uno
sconforto gonfio di lacrime sapide di ineluttabile consapevolezza. Una
consapevolezza, che permea di voluptas dolendi le chitarre slintiane di There You Are (Hiding Place),
spazzate via da una disperazione urlata, urgente e repentina, come solo
la disperazione sa esserlo, quando tocca le corde dell’anima.
E’ un saliscendi senza freni, Panorama,
una giostra impazzita, che ci costringe a fare i conti con un’emotività
insistente e invasiva. Si potrebbe parlare di emo-core, ma facendo ben
attenzione a non travisare la definizione. In Panorama la
melodia non serve a compensare l’impeto, non è il contraltare alla forza
bruta, come succede in certe band bimbominchia, che non hanno coraggio
di essere cattive fino in fondo, e hanno bisogno di escamotage
radiofonici per non spaventare e essere plausibili verso un vasto
pubblico. In queste canzoni, l’impianto melodico è, invece, strutturato
come una tappa di un percorso emotivo che porta, sempre,
inevitabilmente, a un’angosciosa afflizione. Canzoni che hanno un nobile
pedigree, grazie a quel costante richiamo delle chitarre agli Slint, e
che guardano in faccia senza timore reverenziale un capolavoro
dell’emo-core, come The Devil And The God Are Raging Inside Me dei Brand New. Disco emozionante ed emozionato: godetevi il Panorama.
VOTO: 8
Blackswam, mercoledì 17/04/2019
2 commenti:
Un disco bellissimo e una recensione che te lo fa sentire addosso, sulla pelle <3
killer ...8 a sta schifezza? ma dai su!
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